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Due Camere, vista governo

di Gerardo Verolino

Quando qualche mese fa accerchiarono la Camera dei deputati a Montecitorio, i grillini, sapevano già dove li avrebbe portati la loro sommossa. Non a rivoltare l’Italia come un calzino per usare la terminologia in voga alla Procura di Milano all’epoca di Tangentopoli. O ad aprire le istituzioni come una scatola di tonno per affidarsi all’espressione del padre di Di Battista. O mandare tutti a fare in culo, dal celebre slogan dei Vaffaday, per riformare l’impalcatura dello Stato dalle fondamenta. O a cambiare l’andazzo della vecchia politica politicante fatta di conciliaboli, caminetti, patti della crostata, inciuci e accordi di varia natura per attuare la loro politica coerente (“governeremo da soli col 51%!”) senza compromessi con nessuno di quei partiti che loro consideravano alla stregua di criminali.

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Roberto Fico e Elisabette Alberti Casellati

No, loro sapevano che la loro rivolta li avrebbe portati a qualcosa di meno rivoluzionario ma di più comodo: la più alta poltrona di quel Palazzo che tenevano sotto assedio e il cui tenutario ritenevano abusivo, la presidenza della Camera appunto.

Come dire, la via della rivoluzione è lastricata di buone intenzioni finché non ci si scontra con una realtà fatta di incontri, di trattative, di divergenze e di patti, anche d’interesse, tra gentiluomini se non si vuole conquistare il potere manu militari. E poco o nulla si è fatto per il non venir meno dai sacri principi.

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Gerardo Verolino

Per i grillini che conquistano il 32% dei voti, un risultato considerevole ma non auto-sufficiente, a garantire un percorso politico-parlamentare autonomo, cosa è più importante una volta arrivati nei disprezzati centri di comando: continuare come un carrarmato nel perseguimento della propria idea moralizzatrice della politica, fregandosene di tutti gli avversari, considerati notoriamente come degli impresentabili o scendere a patti con essi, lucrando quante più fette di potere disponibili?

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La pizza del Presidente

La votazione di oggi che ha visto l’elezione del primo pentastellato alla presidenza dell’Aula dei deputati, il napoletano Roberto Fico, uno con una voce in falsetto che dovremo ascoltare per i prossimi cinque anni (un signore che non parla ma cantilena) e che fa quasi rimpiangere quella gracchiante della signora Boldrini (gli italiani amano farsi del male da soli) dimostra proprio questo.

Daily Politics In Italy

Di Maio e Fico gli amici-nemici grillini

Che il grillino governativo ed istituzionale ha riposto la rivoluzione nel cassetto e si è detto pronto a confrontarsi con tutti, accantonando i propositi bellicosi di palingenesi politica, ripudiando il mantra del lavacro-espiatorio-collettivo di Montecitorio, per accucciarsi col piccolo o grande boss partitico di turno per confabulare di posti, incarichi e prebende, come un qualsivoglia politico mastellato. Ed ecco che oggi va una Camera a me, domani a te. Oggi una vicepresidenza a noi, domani una presidenza di Commissione a voi. Oggi trattiamo dei posti di questore di Montecitorio, domani quelli di Palazzo Madama.

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Girandola Camere: Fico, Fraccaro, Romani e Bernini

Non ha importanza chi si ha di fronte. Può essere Alcide de Gasperi o Silvio Berlusconi. Mica vuoi che si guardi anche la fedina penale dell’interlocutore. L’importante è portare a casa il risultato. Quanti distinguo inutili. Non è più tempo di eccepire ma di accaparrare. Oggi è il nostro momento, abbiamo promesso di tutto e di più, abbiamo il vento in poppa. Domani potremmo perdere tutto.

Approfittiamone finché possiamo. Ma mostriamoci, per quanto possibile, ancora puri. Quindi, sia chiaro. Romani è un nome sgradito e non lo voteremo mai. Ha una condanna per peculato ed è troppo legato al Cavaliere e alle sue televisioni. A proposito, col sordido Berlusconi non si tratta. Non gli rispondiamo nemmeno al telefono.

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Maria Elisabetta Alberti Casellati

Però possiamo votare un altro suo candidato per la presidenza del Senato. Aspettiamo che il Cavaliere (col quale sia chiaro non parliamo e non rispondiamo al telefono) formuli dei nomi e ce li invii attraverso i piccioni viaggiatori o i messaggi in una bottiglia.

E chi caccia dal cilindro il Cavaliere per riuscire a convincere i riottosi ed incorruttibili grillini? Forse una figura condivisa ed inappuntabile verso la quale Di Maio non potrà mai dire di no, una sorta di Mahatma Gandhi della  politica italiana? Il nome nuovo è nientepopodimenoche quello di Maria Elisabetta Alberti Casellati.

Senato: Renzi seduto in Aula ascolta Napolitano

Il senatore Matteo Renzi

La Casellati? E chi è la Casellati, una francescana, una fustigatrice delle corruttele, una quasi-simpatizzante di Grillo? No. È sì uno stimabile avvocato matrimonialista ma amica e sodale del difensore di Berlusconi, Niccolò Ghedini, quello che per primo coniò l’espressione relativa all'”utilizzatore finale” parlando del suo assistito e che, le cronache raccontano, fu scoperta da quel Giancarlo Galan, ex doge veneziano travolto dallo scandalo Mose (ha patteggiato due anni e dieci mesi di reclusione). Inoltre è stata sottosegretaria alla Giustizia con Angelino Alfano.

Insomma una berlusconiana di ferro che non ha rinnegato, giustamente, le sue
radici. La rivoluzione grillina può aspettare. Ora ci attendono le Camere. Due Camere, vista governo

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