gg91

L’ultimo ringhio di Rino
Brucia un’altra bandiera

 di Ernesto Santovito

Da icona del bene a icona del male. La società dell’immagine è implacabile, basta  un clic e la scena cambia diametralmente.

gg71

Gattuso era l’eroe buono del calcio italiano, l’emblema della classe operaia che va in paradiso, il giocatore che tutti amavano perché non avendo i numeri del fuoriclasse era riuscito a costruirsi una grande carriera, felice e vincente, con il rosso e nero del Milan e con la nazionale. Rino, l’immagine positiva del ragazzo del sud che è andato a cercare fortuna da un’altra parte, perché a casa sua, in Calabria, il lavoro non c’è, e se vuoi rigare diritto, non hai molte scelte, devi partire, lasciare la famiglia e correre, correre incontro al destino. E Gattuso nella sua carriera di calciatore ha corso tanto. Ha corso per lui e spesso, per alcuni suoi compagni di squadra, quelli dai piedi buoni che non toccano il pallone, l’accarezzano deliziosamente ma che non amano faticare, quelli che a fine della partita non hanno mai la maglietta sporca di sudore. Rino è uno che se ne è andato per tornare, due onesti piedi in fuga, esattamente come i cervelli della sua stessa generazione.

Basta un clic ed ecco che ti ritrovi con un altro Gattuso, i poliziotti che proprio a Napoli lo rintracciano e lo portano in Questura, proprio come fanno con i delinquenti,  l’ennesima inchiesta sul calcioscommesse, una piaga senza fine. Rino, anche questa volta ci ha messo la faccia, subito. A modo suo. “Voglio che la magistratura indaghi, faccia il suo dovere. Lo dico sin da ora e senza nascondermi: io di scommesse non so niente, non so come si gioca, non ne capisco niente, non mi mai venuto in testa di fare niente niente. Se ho fatto qualcosa di sbagliato, sono disposto ad uccidermi, vado in piazza e mi tolgo la vita davanti a tutti…”  Naturalmente, come dicono quelli politicamente corretti, la giustizia farà il suo corso e sarà quel che sarà.  Ormai ne abbiamo viste tante, troppe dai Palazzi di Giustizia. Di certo Ringhio, in un caso o nell’altro, continuerà a ringhiare, perché questo è il suo modo di vivere.

gg4

Una vita mediano, come ha cantato Liga, anche se la canzone era per Oriali, ma sta a pennello anche a Gattuso. “Una vita da mediano, a recuperar palloni, nato senza i piedi buoni, lavorare sui polmoni, una vita da mediano, con dei compiti precisi, a coprire certe zone, a giocare generosi…”

Ora Gattuso vive di panchina. Ha intrapreso la carriera di allenatore. Prima in Svizzera, dove faceva l’allenatore-giocatore, poi in Italia, la breve parentesi di Palermo, con il presidente mangia allenatori, Zamparini, una coabitazione durata poche giornate, un rapporto adagiato sul cratere dell’Etna che era pronto ad esplodere in qualsiasi momento. E’ durata quanto una cassata siciliana l’avventura siciliana, neanche il tempo di mangiare il panettone quello che ormai era diventato il suo dolce preferito.

gg6Rino, anche senza pantaloncini e maglietta, è rimasto lo stesso. Sfacciato, semplice, originale. Se decide di parlare, sceglie di dire qualcosa non banale, non la solita melassa. In panchina è come era in campo. Stessa grinta e stessa concezione del calcio, una carriera fondata sul sangue e sulla fatica, perché a quelli come lui, dai piedi ignoranti, nessuno regala mai niente. Però bisogna fare i punti e vincere le partite, c’è poco da fare filosofia. Ed ecco perché è durata quanto una cassata siciliana l’avventura siciliana, neanche il tempo di mangiare il panettone quello che ormai era diventato il suo dolce preferito. E questa volta neanche a dire che quel bisbetico presidente di Zamparini non avesse visto giusto, cacciato Gattuso il Palermo ha incominciato a volare, sino a raggiungere il tetto della classifica.

Una carriera poggiata sull’umiltà, sul lavoro, sul rispetto dell’avversario. Lui, Rino, ha capito presto che nel calcio non si può mai scendere in campo con sufficienza. A Glasgow, un giorno contro L’Aberdeen, si trovò di fronte un avversario vent’anni più vecchio. “Mi toccava marcare uno di 37 anni. Dissi a me stesso: “Sto vecchietto me lo mangio”. Passai un pomeriggio d’inferno. E fu quel giorno che imparai la prima regola di chi gioca a pallone, mai snobbare l’avversario, mai sentirsi superiore a nessuno finché non è finita la partita.” La Scozia è stata molto utile nel percorso di formazione di Gattuso. Anche se, alcune volte, si è scontrato con alcune tradizioni. Ai Ranger, ad esempio, vige una regola che sa di molto di “nonnismo”: le scarpe dei giocatori della prima squadra le puliscono le riserve. “C’era un ragazzo più o meno della mia età- ha raccontato una volta Gattuso- che voleva pulire le mie. Io ci rimasi male: mi sembrava umiliante per lui. Mi dissero che era una regola, che i giovani dovevano anche tenere in ordine e pulito lo spogliatoio. Questo compagno non aveva problemi a farlo. Ma i problemi li avevo io. Posso capire che si possano pulire le scarpe a quelli di trent’anni, ma non a me. Così cominciai a pulirmele da solo, anche se l’allenatore non era d’accordo”.

gg

Il codice Gattuso è semplice, ma ben chiaro. Bisogna conoscere il suo mondo, la sua terra, l’educazione, la fatica, per capirlo. La filosofia spiccia elevata a sistema educativo. Con Gattuso ha funzionato, perché Rinoè vero, sincero, leale. Lo dicono tutti, si vede, si sente. Almeno sino ad ora è stato così.   Scherza con se stesso, con le sue origini, con la sua storia, con il suo orgoglio. Ha rivoluzionato nel suo piccolo il calcio moderno. Ha dato dignità ai gregari, ha stravolto antiche gerarchie, grazie a lui, quelli che sono com’era lui ora, non sono più calciatori di fascia B.  Ma più che di piedi è stata una questione di cervello. Atterrò a Glasgow da Perugia, a 19 anni, senza sapere una sola parola di inglese. Scappato, dissero quelli del clan Gaucci. C’era stata una trattativa di un mese e mezzo, prima. Contatti, chiamate, offerte telefoniche. Gennaro era del Perugia da diverso tempo, da quando aveva 12 anni e l’avevano preso direttamente dalla Schiavonea. L’anno dei Rangers fu il 1997: gli scozzesi se lo presero perché non aveva un contratto da professionista e costava due lire. A lui offrivano due miliardi in quattro anni. L’Italia parlò di nuovo Bosman, di disastro, di scippo. Gaucci esagerò, le cronache del tempo parlano di un giallo. “Abbiamo denunciato la scomparsa di Gattuso. Da due giorni non è a casa e non si presenta agli allenamenti. E noi abbiamo una responsabilità morale nei suoi confronti, perché vive in un appartamento messo a disposizione dalla società”. A rileggere oggi quelle cronache viene da sorridere, un affare internazionale intorno ad un pallone e ad un ragazzino calabrese. Era ancora il calcio ruspante dei mecenati e dei Signori del calcio, non c’erano ancora le multinazionali, gli sceicchi ed i petroldollari.

gg3Una vita per il Milan. Gennaro e il Milan. Qualcosa di più dell’attaccamento ad una maglia, ad un club. E’ stato l’omaggio al padre Franco. “Milanista, tifoso sfegatato di Rivera, uno con due pennelli al posto dei piedi. Papà era un falegname, ma nell’anima era un calciatore.  Era arrivato pure a giocare nella quarta divisione calabrese come centravanti di svariate formazioni della zona, ed è stato il mio primo maestro. Quante ne ha dovute subire, giocava da attaccante, ma era grintoso come un terzino. Ricordo che un anno giocò nel Corigliano, rivale per eccellenza della Schiavonea, la squadra per cui tifava mio nonno. Quando arrivò il giorno del derby, nonno si posizionò dietro alla porta e per tutta la partita non fece altro che insultare suo figlio, reo di giocare contro la squadra del suo paese: “Carne venduta” gli urlava, e poi si rivolgeva all’arbitro sbraitando: ”Signor camicia nera, cacci fuori questa carne venduta”.

A casa Gattuso il cuore non conosce vie di mezzo. L’amore è uno, e uno deve essere per tutta la vita. Calcio compreso. Senza ripensamenti, senza mezze misure. “Mio padre, ad esempio, non sopportava che il mio modello calcistico fosse Salvatore Bagni, che sul suo passato aveva la grossa macchia di aver giocato nell’Inter. A me però piaceva da impazzire perché aveva un cuore grosso quanto un pallone, perché si caricava sul groppone la squadra, si assumeva le sue responsabilità. Tra i piedi e il cuore, poi, mi ero innamorato del modo in cui portava i calzettoni, sempre arrotolati sulle caviglie: ora con le nuove regole non è più possibile. Ogni tanto, di soppiatto, provavo ad appendere in camera il poster di Bagni ma  poi mia mamma lo tirava giù. Sono sempre stato convito del fatto che dietro c’era lo zampino di papà che non voleva avere un ex interista appeso al muro…”

gg11

Da grande voleva fare il pescatore. Se c’è una cosa che gli è mancata con il calcio è stata il mare.  E’ andato via a soli 12 anni da Schiavonea, eppure non s’è mai staccato dal suo paesino. Ogni estate, le vacanze sono là. Non esiste Miami, dove si vedono costantemente vecchi e nuovi idoli del calcio, non esiste Formentera, l’isola di tendenza dei pallonari, non c’è la tradizionale Sardegna. Rino non “tradisce” il suo mare, ogni estate torna a casa con la moglie Monica, conosciuta a Glasgow figlia di un immigrato, ed i suoi due figli: Gabriela di nove anni e Francesco di cinque. A Schiavonea ha dato vita alla fondazione “Forza Ragazzi” che gestisce una serie di case famiglia che si occupano dei giovani disagiati della zona. Ricordate la pubblicità per la Regione Calabria? Bene, per quello e gli altri spot che l’hanno visto protagonista Rino non ha preso un euro, ma ha girato tutti i proventi alla fondazione e ai giovani della sua terra. Aveva dato vita anche ad un’azienda ittica, vendeva  crostacei, molluschi e frutti di mare. Ma poi le cose non sono andate come si sperava. Negli ultimi tempi, comunque, ha aperto alcuni locali di ristorazione puntando sempre sul pesce. A Gallarate ha aperto la pescheria gastronomia “Gattuso e Bianchi” mentre in un altro locale, il “3 Jolie”, Rino è socio insieme ai suoi ex compagni del Milan Abbiati e Brocchi.  “Ho guadagnato abbastanza da far vivere bene i figli dei miei figli” ripete con soddisfazione. Una vita da casciavit, così come a Milano chiamano i tifosi del Milan. Ringhio, una delle leggende di Milanello. E non solo col pallone fra i piedi.

Una delle storie che ti raccontano quando vai nel “college rossonero” è quella della lumaca. Era viva, appena sbucata da un cespuglio umido. “Quanto scommettiamo che me la mangio?” disse Rino ad un gruppo di compagni di squadra. E racimolato un bel gruzzolo  di scommesse la prese, la infilò in bocca e la fece sparire. Sembrava un gioco di prestigio. Invece se l’era mangiata. Così come una caramella alla menta. E quando gli ricordano quell’aneddoto, lui con quella faccia che è sempre così, a metà tra uno che vuole fare il minaccioso e uno che ti sta prendendo in giro risponde con disarmante semplicità. “Oh, guarda che le lumache le mangiano tutti”. Ma quella era viva. “Embè? di che vi meravigliate. E vi dico di più, meglio viva che cotta…” Quello che Ringhio non ama ricordare è che quella scommessa i suoi compagni di squadra non gliel’hanno mai pagata. “Quegli infami…”

Ma passano gli anni, passano i tempi. Oggi quello che non ti aspetti. Non solo l’eroe buono del calcio indagato per un affaire di scommesse ma, altrettanto clamoroso, brucia le bandiere, il sentimento dei tifosi.“ Sono stato e rimarrò sempre milanista, ma sarei pronto a valutare e accettare offerte come allenatore anche da altre squadre. Da giocatore avrei detto no sia a Juve che Inter, da allenatore non sarebbe professionale“.

The Show must go on… Come dire, ogni domenica è di nuovo palla al centro.

gg1

CondividiShare on Facebook0Tweet about this on TwitterPin on Pinterest0Share on Google+0Share on LinkedIn0Email this to someone

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>

Altri post dello stesso Autore