Omaggio a Totò, il principe del sorriso 
 Quantasette anni fa moriva il principe Antonio De Curtis. Mai più nessuno come lui
  
di Gianpaolo Santoro

Omaggio a Totò
il principe del sorriso

di Gianpaolo Santoro

“Totò non poteva fare che Totò, come Pulcinella, che non poteva essere che Pulcinella. Il risultato di secoli di fame, di miseria, di malattie. Non mi sono mai venute in mente storie che richiedessero la presenza di Totò – spiegò una volta Federico Fellini – perché Totò non aveva bisogno di storie. Che valore poteva avere una storia per un personaggio così, che le storie ce le aveva già tutte scritte sulla faccia? “ 

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Già perché Totò era una maschera, comparabile solo ai grandi Chaplin, Keaton, i fratelli Marx. L’ultima delle grandi maschere della commedia dell’arte. “Ma non sono io che comando la mia faccia, è la mia faccia che comanda me…” E questa straordinaria versatilità gli ha consentito di passare con disinvoltura dalla commedia dell’arte alla prosa, all’operetta, al varietà, al cinema, alla rivista, alle canzoni. E pensare che sua madre sognava che diventasse sacerdote. Ha fatto ridere tre generazioni di mezzo mondo, ma non si piaceva. “ Le poche volte che mi sono visto al cinematografo, ho sempre pensato: Gesù, quanto è antipatico, quello. Totò non mi piace come attore, come recita. Perché? Perché non lo so, perché non mi fa ridere. Sordi, Tognazzi, Charlot, mi fanno ridere, ma Totò, parola d’onore, non mi ha mai divertito per niente. In poche parole. Mi sta antipatico…” Amava, invece, dannatamente i gialli, il suo idolo era Georges Simenon, avrebbe voluto essere il commissario Maigret…

Totò-4-7“Siamo uomini o caporali ?” Il mondo, dal suo punto di vista, andava diviso in due sole categorie. “E se di caporali ce ne sono moltissimi, di uomini sempre di meno…” Totò non aveva dubbi. “Caporali son quelli che vogliono essere capi. C’è un partito e sono capi. C’è la guerra e sono capi. C’è la pace e sono capi. Sempre gli stessi. Io odio i capi come le dittature, le botte, la malacreanza, la sciatteria nel vestire, la villania nel parlare e mangiare, la mancanza di puntualità, la mancanza di disciplina, l’adulazione, i ringraziamenti…” L’odio per i caporali nacque sotto alle armi nel 182° battaglione di milizia territoriale, unità di stanza in Piemonte, quando un ignorante e pretestuoso, caporale di Alessandria, che nella vita faceva lo spazzino, gliene faceva passare di tutti i colori. Oggi lo chiamerebbero mobbing. A quei tempi era semplicemente una carogna.

toto1Misantropo, timido, tranquillo. Insicuro ma privo di ansie, grande osservatore ma senza curiosità, molto religioso ma esageratamente superstizioso. Solo. Profondamente ma non disperatamente solo. Amante della luna, assai più del sole. Un animale notturno. Passava ore ed ore fermo a guardare il cielo, a fissare la luna. Amava la notte, le strade vuote, morte, la campagna buia, con le ombre, i fruscii, le rane che fanno qua qua, l’eleganza tetra della notte. Per lui era tanto bella la notte quanto volgare il giorno con le automobili, gli spazzini, i camion, la luce, la gente… “ il giorno fa schifo….. Io amo tutto ciò che è scuro, tranquillo, senza rumore. La risata fa rumore. Come il giorno. Io non rido mai, al massimo sorrido…”

Amava i cani (ne manteneva 220..) e le donne. “Il cane è nu signore, tutto il contrario dell’uomo… Delle donne, poi, non posso fare a meno. Prima, quando viaggiavo senza una donna, portavo sempre con me una vestaglia femminile e un paio di scarpine col tacco. Sempre. Così, prima di andare a letto, appendevo la vestaglia accanto alla mia, mettevo le scarpine accanto alle mie, e mi sembrava di non essere solo. Amo troppo le donne. Sarà perché sono meridionale, sarà perché odio gli uomini: ma le donne, secondo me, sono la cosa più bella che ha inventato il Signore. Le amo tanto che riesco perfino a non essere geloso Sì, lo so cosa che dalle mie canzoni risulta il contrario. Ma quelle cose si scrivono così perché fanno comodo…”

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Un uomo di mondo. Ma odiava viaggiare. “Che m’importa viaggiare? Un po’ più bianchi, un po’ più neri, un po’ più freddi, un po’ più caldi, gli uomini son tutti uguali, i caporali son tutti uguali…”  E così al massimo arrivò a Cuneo. Non salì mai su un aereo, odiava i treni e la velocità. Carlo Cafiero, “Cafiè” l’autista che guidava la sua Mercedes aveva una barca di figli, e per questo era votato alla prudenza, ma il Principe chiedeva ancora di più. E per questo non superavano mai i 40 chilometri all’ora, Napoli-Roma ci mettevano sette ore e, a scanso di equivoci non prendevano mai l’autostrada. Totò avrebbe preferito, per mille ragioni, una carrozza ed un cavallo, lo zuccherino, e l’incedere regale del trotto. “Ma mi avrebbero sfottuto tutti, il principe a cavallo…”

Totò-tombaAntonio Griffo Focas Flavio Ducas Commeno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del Sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cilicia, di Tessaglia, di Ponte di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo. “Tengo molto a miei titoli nobiliari ma il mio vero titolo nobiliare è Totò. Con l’altezza Imperiale non ci ho fatto nemmeno un uovo al tegamino. Mentre con Totò ho mangiato tutta la vita…”
Sul punto di morte Totò ebbe la forza di sussurrare “portatemi a Napoli: “sono cattolico, apostolico e napoletano”. Viveva a Roma, in una casa nobile in viale Buozzi ai Parioli, tutta drappi e divani di velluto rosso, pavimenti in marmo, porte di rovere con raffigurate in bronzo l’aquila bicipite dei Bisanzio e tre grandi, luminosi saloni uno dentro l’altro e una spettacolare sala degli specchi.

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Viveva in una grande casa che, insomma, era una piccola reggia. Eppure non aveva mai dimenticato quelle due stanze, al secondo piano del cadente e sfregiato civico 109, in via Santa Maria Antesaecula, al rione Sanità. Totò era napoletano nel cuore. E Napoli ha sempre avuto nel cuore Totò. A tal punto che un funerale solo non bastò per piangere il Principe che se n’era andato nella notte a neanche settanta anni.
Nella Basilica del Carmine Maggiore lo attendevano circa tremila persone, mentre altre centomila sostavano nell’immensa piazza antistante. Ad attendere la salma proveniente da Roma, c’era una gran folla addirittura Già al casello dell’autostrada del Sole. Una processione lenta attraversò la città. Tutti volevano salutarlo, un lungo applauso celebrò per l’ultima volta Totò. Poi il suono delle campane.

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A rompere il silenzio una serie di persone colte da malore per lo spavento di aver intravisto fra la folla Totò resuscitato, che partecipava al suo funerale. Un colpo di scena, sembrava la scena di uno dei suoi film. Ma si trattava di Dino Valdi, la controfigura storica del Principe, confuso fra la folla.
Come disse Nino Taranto, guardandosi intorno, nell’orazione funebre “Toto ha fatto ancora una volta tutto esaurito…” Ma non bastava. Napoli non ancora aveva esaurito le sue lacrime per Totò. Ed allora poco più di un mese dopo si celebrò il funerale-bis, nella chiesa di San Vicenzo a due passi dalla casa dove era nato e cresciuto. Bisognava riparare ad un grosso sgarbo, la grande offesa che era stato fatta a tutto il quartiere della Sanità celebrando il funerale da un’altra parte. A reclamare questo “diritto violato” fu “Naso ‘e cane”, capoguappo di quella zona che aveva visto crescere Totò e che lui chiamava affettuosamente “ ‘o guaglione”. Commozione, lacrime, e dolore: nonostante la bara fosse, logicamente vuota, solo la bombetta con la quale aveva esordito ed un garofano rosso, il funerale-bis vide, addirittura, una partecipazione maggiore rispetto a quello ufficiale.

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(tratto da “Napoletani” editore CentoAutori)

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