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Voglia di riscatto

di Gianpaolo Santoro

Sessantaquattro anni, un soffio. Si torna in Brasile, nella patria del pallone, un samba e una caipirinha, la testa che gira, le emozioni che si inseguono da Copacabana a sao Corrao, la spiaggia degli aquiloni e delle ragazze che tolgono il respiro, una sbornia gigantesca.

Immortali Vinicius de Moraes e Antonio Carlos Jobim continuano a cantare la garocha de Ipanema, la bossa nova che viene dal cuore, il vero inno brasilero, quello scelto dal popolo. L’inno ufficiale del mondiale,invece, è We Are One (Ole Ola) ed è cantata da Pitbull feat, Jennifer Lopez & Claudia Leitte.

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Fajolada e caranguejo, la churrascheria di Marius a Leme, il pesce fresco da Grottammare a Ipanema, sale la febbre do fútbol, la voglia di gol e di vittorie, un romanzo che durerà un mese per quelli che andranno avanti, un sogno insegue un altro, sino all’ultimo respiro, all’ultimo sospiro.

Palla al centro, è il mondiale, quello della riscossa. Dentro e fuori gli stadi, si ride e si piange, proprio come la vita. Non è una festa, la fame si sente e non si possono lavare i panni sporchi in famiglia.

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Dilma Vana Roussef Linhares, la presidentessa

 

Donna Dilma Vana Roussef Linhares, la presidentessa aveva sognato un’altra cartolina di presentazione per il suo Brasile: mare, sole, musica, allegria, una sorta di grande Carnevale e, naturalmente, donne meravigliose: il settimo giorno Rio inventò la donna, questo lo sanno tutti. Ed invece il Brasile ha presentato la sua faccia sofferente, manifestazioni di protesta e scioperi, il popolo accusa lo sperpero di miliardi e miliardi e denuncia condizioni di vita impossibili: gli Indios invadano le metropoli, gli operai della metropolitano bloccano i treni, i meninos de rua, reclamo un futuro, almeno una speranza.

Sono passati sessantaquattro anni dall’altra volta, ed è cambiato tutto. O quasi. Chiudiamo gli occhi e proviamo ad immaginare. L’India voleva giocare a piedi nudi, ma non ebbe il permesso e per questo all’ultimo momento venne squalificata.

Sir Stanley Matthews

Sir Stanley Matthews

 

L’Inghilterra, la grande Inghilterra di sir Stanley Matthews e Billy Wright, per la prima volta era al via del mondiale dopo venti anni di spocchioso isolamento internazionale, gli inglesi che avevano  inventato il calcio moderno, ne avevano fissato le prime regole essenziali e lo avevano esportato in tutto il mondo si sentivano superiori a tutti, i maestri e tutti gli altri allievi, da snobbare i contatti e le competizioni internazionali, con la sola  eccezione dei confronti interbritannici con le rappresentative di Scozia, Irlanda e Galles. Un isolamento che aveva generato il mito dell’invincibilità, un mito sorretto peraltro da pochissimi riscontri concreti e tutti risalenti a fine Ottocento e ai primi anni del Novecento. E così quando al primo appuntamento vero furono sbattuti fuori dai dilettanti degli Usa, fu uno choc terrificante, Winston Churchill, primo ministro del tempo, grande tifoso di calcio e dei Queens Park Rangers, squadra di un piccolo un quartiere di Londra che si chiama Sheperd’s Bush, parlò apertamente di “disfatta”. Fu la fine di un mondo, il superiority complex del calcio inglese sbriciolato di colpo.

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Jo Gaetjens, l’eroe della partita con l’Inghilterra

 

A far crollare il mito fu un carneade haitiano, John Gaetyens, che siglò il gol dell’1-0 per gli Stati Uniti. Grazie a quel gol Gaetyens trovò un ingaggio in Europa al Racing di Parigi, ma la sua fu un carriera modesta e anonima. Il suo nome tornò alla ribalta nel 1964 quando venne giustiziato dalla milizia dei volontari della sicurezza, comunemente conosciuta come Tonton Macoutesm, una polizia segreta di Haiti, alle strette dipendenze di Francois Papa Doc Duvalier.  L’accusa: terrorismo…

Oggi l’Italia è acquartierata al Portobello Resort di Mangaratiba, 584 euro a stanza, l’albergo più caro fra tutte le nazionali del  mondiale. Nel 1950 l’italia era, invece, in un alberghetto al centro di Rio, dalle parti di Avenida Brasil, una strada popolare e commerciale, pochi soldi, ed una medaglietta di partecipazione. Non c’era una lira, si faceva la fame. Nel cestino da viaggio nelle trasferte con la nazionale, se c’era un pezzo di pollo eri fortunato. Altri tempi. Prima di partire per il Brasile gli azzurri andarono da Pio XII a baciare l’anello, la benedizione del Papa fa sempre bene, non si sa mai. Ma non servì a molto.

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Gli azzurri sul ponte alto della Sises

L’Italia partì da Napoli con la nave Sises di proprietà degli Agnelli, sedicimila tonnellate, si proprio come quelli di “partono ‘e bastimente pe’ terre assaje luntane…” e la versione ufficiale è che molti giocatori avevano paura dell’areo. Chissà. Quelli dovevano esser i mondiali del grande Torino ma un anno prima c’era stata la tragedia di Superga. L’Italia aveva prenotato un intero ponte, quello più alto. Il viaggio durò sedici giorni con una tappa a Las Palmas, nelle Canarie dove venne giocata un’amichevole contro la squadra locale. Fu una figuraccia, ma per davvero. Il migliore in campo fu il portiere Sentimenti IV, ma venne schierato all’ala destra…

Italia contro la svezia

La foto ricordo dell’Italia contro la Svezia

Si narra che si persero una quantità inenarrabile di palloni in mare in quella traversata che non finiva mai. Gli allenamenti erano una barzelletta, un po’ di pesi, tanti giri di ponte, un inutile, ridicolo correre da una parte all’altra e molte sedute di tattica. Che poi era davvero paradossale. Quella nazionale era una nave senza capitano. Anzi ce ne erano due: Novo, il presidente del grande Torino e Bardelli, giornalista di Stadio, due commissari tecnici, che poi era come se non ce ne fosse nessuno. Scrisse Brera “quei due lì litigano miserevolmente prima di ogni partita, e non sono capaci di concordare una formazione.”

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Giampiero Boniperti

Il leader della squadra era Carlo Parola, l’uomo della rovesciata, ma lui non era un trascinatore, era più che altro un solitario. Del resto aveva cominciato col ciclismo, sport individuale. Si certo poi c’era Marisa, come tutti chiamavano Boniperti, che aveva l’aria da signorino sempre perfettino, elegante, distaccato, quasi temesse di sporcarsi i pantaloncini bianchi. Ma lui sembrava giocasse solo per se stesso.

 

L’Italia disputò un mondiale disastroso. Arrivarono in Brasile stanchi e senza forze. Tornarono a casa subito dopo due partite (sconfitta con la Svezia 3-2 e vittoria 2-0 col Paraguay) con cinquantamila lire di “premio partecipazione”, due visite ad un rettilario, ed il sorriso di qualche dolce brasiliana nel cuore.

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Mario Balotelli

Italia ed Inghilterra tornano 64 anni dopo sul luogo del delitto. La grande favola del calcio regala loro una possibilità di riscatto. Noi non abbiamo Giampiero Marisa Boniperti ma c’è SuperMario Balottelli, gli inglesi non avranno sir Stanley Matthews ma c’è Wayne Mark Rooney, è il segno dei tempi. Toccherà a Prandelli e Hodgson non fallire l’appuntamento con la storia.

 

 

 

 

 

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