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L’eutanasia del calcio
Le sette sorelle vergini

di Ernesto Santovito

Dopo il fallimento mondiale, il fallimento (mille polemiche e clima avvelenato) del cambio di guida alla Figc, il fallimento del Napoli sbattuto fuori dall’Europa conta, ecco che comincia il campionato più fallimentare degli ultimi anni. Siamo scivolati dietro anche il Portogallo nel ranking internazionale.

Il calcio italico vive, molto probabilmente, il suo periodo più buio: siamo passati dal campionato più bello del mondo, ad un calcio di avanspettacolo, fatto per campioni sul viale del tramonto, presidenti semi squattrinati, squadre costruite per perdere. Eppure non è passata un’eternità: nel 2006 eravamo sul tetto di Berlino, campioni del mondo; nel 2010 l’Inter era sul tetto del mondo  per i club (Champions League e titolo intercontinentale): ma poi?

Tavecchio e Conte, la nuova nazionale

Tavecchio e Conte, la nuova nazionale

E’ facile troppo facile dire che il nostro calcio è la fotografia del Paese, siamo in recessione, viviamo un calcio in depressione. Cifre apocalittiche, scandiscono il nostro movimento pallonaro. Negli ultimi trentanni siamo passati dai quasi 40 mila spettatori di media a partita ai 22 mila del 2013. Meno della metà della Bundesliga. E quei pochi che vanno allo stadio, sono la rappresentazione peggiore del tifo, con le curve in mano agli ultras, la violenza, la droga e tutto il resto. Che mangino o meno banane, la verità è che importiamo un numero spropositato di giovani calciatori, col risultato di non avere più un serbatoio di giocatori, con tutto quello che ne deriva. Una volta tutti attaccavano l’Inter, squadra di stranieri. Poi prendi il Napoli di De Laurentiis, arrivò strombazzando la scugnizzeria facendo il verso alla cantera del Barcellona. In dieci anni il Napoli non sa neanche che cosa sia il settore giovanile, l’altra sera c’era un solo italiano in campo a farsi sbattere in faccia la porta dell’Europa che conta dall’Athletic che schiera giocatori baschi.

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Stadi sempre più vuoti

Siamo un calcio in crisi, siamo un calcio senza soldi. La crisi si misura anche dalle magliette rimaste senza sponsor. Tante, troppe, roba mai vista. Segno evidente che la vetrina della serie A non viene considerata più il massimo della visibilità. Ed è, evidente, che questo disinteresse si traduce con danni ingenti per i bilanci, giù di per se traballanti, delle società. Ci sono ben sette società che hanno la maglia vergine, a caccia di sponsorizzazione. Cesena, Fiorentina, Genoa, Lazio, Palermo, Roma e Sampdoria, nella settimana d’inizio del campionato, rappresentano un record negativo mai registrato in Italia e ovviamente l’ennesimo campanello d’allarme sull’appeal in pericoloso ribasso della serie A.

La principale causa della progressiva fuga o latitanza degli sponsor dall’Italia, nonostante il recente via libera all’inserimento anche di un terzo marchio sul retro delle divise da gioco, è proprio l’immagine trasmessa all’estero il nostro campionato. Spettacoli sempre più deprimenti, senza top player in campo, in stadi semivuoti e protagonisti spesso di incidenti e di episodi di violenza. Molti manager calcistici hanno puntato tutto sulla spartizione della torta dei diritti televisivi, ma fino a quando? Lo spettacolo presto si deprezzerà sempre più (basta raffrontare il valore dei  diritti tv sul mercato estero: 117 milioni di euro per l’ultima stagione di A contro i 908 della Premier League).

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Totti, la maglia senza sponsor

Sette sorelle senza sponsor, storie diverse, ovviamente. La Roma seconda l’anno scorso ed il Cesena neo promosso, hanno motivazioni diverse per non aver ancora abbinato il loro club ad uno sponsor.  La Roma made in Usa, ad esempio, ha fissato l’asticella per l’incasso dal «main sponsor» a 14-15 milioni e non intende abbassarla (pare ci siano trattative molto avanzate con la Nike). Rifiutati 5 milioni di euro a una compagnia aerea internazionale.  Stesso discorso per la Lazio, ormai all’ottava stagione senza uno sponsor fisso. “Non sminuisco il valore del nostro marchio solo per metterci uno sponsor”, è il credo di Lotito, in protagonista della rovente estate della Federazione… Il Genoa rappresenta una realtà più unica che rara: per ora ha solo un co-sponsor (McVitie’s) e non quello principale, ma può comunque contare sul minimo garantito dal contratto di «marketing agent» con l’advisor Infront.

Si comincia con Chievo-Juve e Fiorentina-Roma. Si entra subito nel vivo. Prima avevamo gli arbitri che andavano in bambola, ora avremo quelli con la bomboletta spray. Speriamo bene.

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