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Il giudice-sindaco “sciuè sciuè”

De Magistris è in politica da 5 anni, anni di grande movimento: dipietrista, grillino, orlandiano, arancione, ingroiano sino a renziano respinto. Solo Andreotti vantava più soprannomi di lui:“Giggino Banderas”, “Giggino a manetta”, “o skipper”, “o scassatore”, “a promessa”, “O strascico”,  “O floppe” e “guappo e mammete”. Nella storia ormai un famoso video-invito-farsa: “Ciao Al, sono Luigi…”. Le sue flop inchieste? Il villaggio turistico di Marinagri, i fidanzatini di Policoro, le toghe corrotte e “Why Not?” 150 indagati, tutti scagionati, tranne 6 che attendono il giudizio.       Perché riproporre vecchi articoli, reportage, interviste? Volando alto con Giorgio Manganelli, scrittore, giornalista potremmo dire che “una civiltà letteraria non è fatta di letture, è fatta di riletture”. Più semplicemente il ripresentare alcuni articoli rappresenta una grande opportunità. Un modo per scoprire giornalisti o protagonisti di un’altra generazione, di conoscere o ricordare fatti, dimenticati. E per riproporre interviste e reportage dei giorni nostri.

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 Manca solo che li chiami comunisti. Da giudice accusava i politici che resistevano alla legge, da politico accusa i giudici e resiste alla legge. Insomma, è diventato uno dei suoi imputati Luigi De Magistris, ex giudice inflessibile e ora sindaco flesso. E forse è Nemesi o forse Contrappasso o forse è solo Napoli che rende possibile l’impossibile. Di sicuro fa a un danno epocale a tutti i giudici italiani questo finale grottesco del rivoluzionario arancione che si candidava a tutto: “La prospettiva di guidare la sinistra non mi dispiace e non mi spaventa”.

E trascina nel folklore anche il serissimo conflitto tra magistratura e politica e la stessa riforma della giustizia il botto finale della breve carriera populista del sindaco-condannato che diceva di mirare a Palazzo Chigi ma collezionava più soprannomi del Belzebù Andreotti: “Giggino a manetta”, “o skipper”, “o scassatore”, “a promessa”….

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Quale che sia l’esito finale della sua parabola di autodistruzione resteranno di lui – cult su Youtube – due soli videoclip, quello di ieri mattina dove definisce “melassa putrida” e “sistema criminale” lo Stato italiano che lo ha condannato, e quell’altro dove, in camicia bianca, invita Al Pacino a venire nella nostra bella Napoli che più sta e più bella diventa: “Ciao Al, sono Luigi…”.

E denunzia la persecuzione dei giudici il sindaco che, secondo la sentenza di primo grado, da giudice non perseguiva ma perseguitava i politici: abuso d’ufficio per le illegittime intercettazioni (tabulati) a strascico a Rutelli, Mastella, Minniti, Gozzi, Prodi…. , ed ecco perché “O strascico” è un altro dei suoi soprannomi. Inutile dirgli che, se fosse davvero innocente, De Magistris dovrebbe affrontare con dignità la sentenza, la sospensione, e aspettare l’Appello.

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Nessuno meglio di lui dovrebbe sapere che nei processi di primo grado l’errore giudiziario è un’ipotesi fisiologica ma sicuramente rimediabile perché le sentenze si riformano. Persino Andreotti lo capì. Invece il persecutore De Magistris è ora un perseguitato ma, come nella grande letteratura, dal proprio naso (Gogol), dalla propria ombra (Andersen), dal proprio doppio: il povero Dr Jekyl vilipeso dall’odioso Hyde.

“Io sono figlio di magistrato e nipote di magistrato” ricordava sino all’altro ieri l’ex magistrato che divenne famoso perché allargava così tanto le indagini da renderle inoffensive ma molto rumorose. “Ha fatto ‘o pireto cchiù ddò culo” dicono ora a Napoli, e sarebbe una reazione ingenerosa se non fosse la traduzione ironica delle lodi con cui l’ex giudice si imbroda: “sono un enorme plusvalore”, “sono sicuro di essere stato un ottimo magistrato“.

E invece tra i flop gli contano almeno tre inchieste lucane, il villaggio turistico di Marinagri, i fidanzatini di Policoro e le toghe corrotte; su 150 indagati di “Why Not?” la quasi totalità ne è uscita, in vari modi, indenne e solo 6 attendono il giudizio; e poi ancora c’è l’indagine archiviata sui depuratori Poseidone…: “O floppe” è l’altro malizioso soprannome.

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  Di sé diceva “sono una toga anarchica” ma il rapporto di De Magistris con la giustizia sta diventando ormai eversivo. La legge che lo sospende dalla carica di sindaco “è ingiusta” ha sostenuto, e se una legge è ingiusta, ohibò, non è legge. E anzi, secondo De Magistris, forse l’ex ministro Severino, “che era avvocato della mia controparte”, la ideò proprio contro di lui, e qui siamo già sul lettino di Freud.

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Comunque “i magistrati dovrebbero dimettersi” e “farò il sindaco in strada” sono annunzi sediziosi che ricordano sia il plebeismo carismatico di Achille Lauro e sia la famosa marcia per non marcire davanti al tribunale di Milano di Alfano e degli altri deputati berlusconiani.

Bleffa? Sicuramente sopravvaluta il rapporto con la sua città che, è vero, ama i condannati e ad ognuno di loro offre una zona franca, luoghi a statuto speciale come Scampia e Secondigliano, lo stadio e San Gennaro, insomma esalta l’anomia, protegge la dimensione del fuorilegge e garantisce a furor di popolo quell’impunità che adesso De Magistris rivendica dimenticando però il suo blasone di legalità e dunque mettendo a rischio il consenso di tutta quella bella sinistra anti-Cosentino che l’aveva plebiscitato.

Luigi De Magistris presenta il "Movimento Arancione"

Ma senza però conquistare gli altri, la plebe e il popolo anarchici, perché anche i fuorilegge hanno un codice e neppure a Napoli è permesso il passaggio di ruolo con destrezza: “ogni presepe ha i suoi pastori” e “chi nasce tondo non muore quadrato”. Non si può essere al tempo stesso guardia e ladro, mettersi alla testa della Napoli dell’illegalità di Davide Bifolco e convincere quella dei ragazzi che già una volta credettero al suo profilo eroico, quando il Csm lo aveva condannato: “Mi hanno messo a tacere non con il tritolo ma con il trasferimento”; “se mi dovesse succedere qualcosa basta leggere il mio diario per capire chi è stato”.

È dunque una storia italiana emblematica e purtroppo molto triste quella del De Magistris finito sottosopra. E si capisce che non potrà resistere a lungo, ma più resiste alla legge appellandosi alla piazza più l’ex uomo di legge precipita nella maledizione del pittoresco, preda del diavolone plebeo che di nuovo inchioda Napoli al destino crociano di “città dei lazzari”, al quale proprio questo sindaco avrebbe dovuto sottrarla.

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E invece De Magistris ha costruito passo dopo passo la sua storia di eccessi, a partire dal suo errare nell’errore e nell’orrore: dipietrista, grillino, orlandiano, ingroiano… sino a renziano respinto: “Si imbuca come un liceale nelle feste” lo sgamò Pina Picerno che è più ciaciona di lui, verace di natura e non di convenienza, e infatti il sangue di San Gennaro, che resiste a lui, si scioglie per lei.

E De Magistris è un prodotto televisivo di Santoro che ne intuì e ne valorizzò la natura di Masaniello: “sparami ’n pietto” è un altro soprannome, il petto in fuori e il coraggio virile del guappo, ma di buona famiglia. E infatti “guappo e mammete” è l’ennesimo nomignolo divertito, e forse perché quelle frasi narcise – “sono bello, piaccio alle donne, è un fatto che sta lì, oggettivamente lo constato” – solo le mamme del Vomero riescono a imprimerle nella psicologia di un figlio: “Giggino Banderas” è l’ultimo dei soprannomi.

 È la mamma che gli cucì la toga in 48 ore il giorno della tesi di laurea. La mamma gli ha insegnato a tenere il Vangelo sempre sul comodino. Ma forse la mamma, che è l’erede del grande italianista Luigi Russo, mai aveva pensato a un destino di “ammuina populista”, di giudice “sciuè sciuè”.

(Francesco Merlo, Repubblica -2014)

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