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I bastardi

 Una Napoli dove “nel lungo termine tutti perdono, ma io non vivrei in nessun altro posto, mai”. Una metropoli dove “ognuno è portatore di un’invisibile croce e schiacciato da un destino senza nome, ognuno con il suo confine privato: due milioni di isole in un unico arcipelago senza ponti né traghetti”. Maurizio De Giovanni dal 2005 ad oggi undici romanzi criminali.

Perché riproporre vecchi articoli, reportage, interviste? Volando alto con Giorgio Manganelli, scrittore, giornalista potremmo dire che “una civiltà letteraria non è fatta di letture, è fatta di riletture”. Più semplicemente il ripresentare alcuni articoli rappresenta una grande opportunità. Un modo per scoprire giornalisti o protagonisti di un’altra generazione, di conoscere o ricordare fatti, dimenticati. Per riproporre interviste e reportage dei giorni nostri.

Chiesa di S. Maria Egiziaca a Pizzofalcone

Niente sceneggiata, niente neomelodici, niente neoborbonici, niente cartoline dal Vesuvio. Persino niente camorra, parola che non compare in nessuno degli undici romanzi criminali pubblicati da Maurizio De Giovanni dal 2005 a oggi: non perché non la voglia vedere, la camorra, ma perché, ti spiega, “io analizzo passioni, non fenomeni sociali. Le emozioni, la deriva di sentimenti come l’amicizia, l’amor filiale o per una donna in ossessione che genera assassinio, il delitto come chiave interpretativa dell’animo umano, questo mi interessa, di questo scrivo. E solo a Napoli tu ti trovi ad attraversare, nel raggio di 400 metri, quattro o cinque città tra loro diversissime, ciascuna con la sua umanità, i suoi linguaggi, musiche, teatri, vite, disastri, crimini, grandezze e miserie. Tagli a ogni passo linee di confine mobili eppure nettissime”.

Una Napoli dove “nel lungo termine tutti perdono, ma io non vivrei in nessun altro posto, mai”, giura. Una metropoli dove “ognuno è portatore di un’invisibile croce e schiacciato da un destino senza nome, ognuno con il suo confine privato: due milioni di isole in un unico arcipelago senza ponti né traghetti”, come scrive in un passo di “Gelo”, terzo intrigante romanzo della serie “I Bastardi di Pizzofalcone”, in uscita per Einaudi Stile Libero.

10500304_695706073834523_6557273895193613408_nGiri con De Giovanni per la centralissima via Chiaia delle griffes e dei palazzi nobiliari, dove ha ambientato nei primi anni Trenta la serie del commissario Ricciardi con cui esordì nove anni fa, poi su dalla via Pizzofalcone dove ha collocato ai nostri giorni il suo immaginario commissariato dei “Bastardi e dell’ispettore Lojacono”, e le respiri una accanto all’altra, una sull’altra persino, queste città stratificate e incastonate.

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Quartieri Spagnoli

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Piazza dei Martiri

La Napoli “oscura ma viva” dei Quartieri Spagnoli, dello spaccio, della fabbrica dei falsi e degli immigrati clandestini; quella della borghesia impiegatizia e commerciale “oggi in ginocchio, rovinata dalla crisi, stroncata dai fitti altissimi e dalla mancata erogazione del credito”; quella finanziaria di piazza dei Martiri, “che invece con la crisi si è arricchita licenziando, esportando capitali e ottenendo piani di rientro a lunghissimo termine”; quella “aristocratica del lungomare e dei circoli nautici, che vive in un limbo di canasta e burraco, impermeabile persino ai nuovi ricchi che finge di frequentare”. Quest’ultima sarà materia del prossimo romanzo di Ricciardi. In lavorazione? “No, macché! Uscirà a maggio, che lo scrivo a fare un anno prima? Comincerò a fine marzo…”

Paola Egiziano, la compagna di Maurizio de Giovanni,

Paola Egiziano e Maurizio de giovanni

Vanta, De Giovanni, di non averci messo mai più di un mese a finire un suo libro, salvo i 38 giorni (ma al lordo di tre passati al Salone del libro di Torino) per le 450 pagine di “In fondo al tuo cuore”, serie Ricciardi, romanzo dell’infedeltà, donne angeliche e infernali, uscito a inizio anno: “Scrivo veloce, in immersione. Quindici pagine al giorno, anche più. Non rileggo, lo fa Paola, la mia compagna da quel 2005 in cui è cominciata la mia vita da scrittore. Sempre Paola pensa a tutto il resto, rapporti con gli editori, contratti, organizzazione della nostra vita”.

Sicché lui, da due anni in aspettativa dal lavoro di funzionario fidi alle imprese al Banco di Napoli, si spartisce tra le presentazioni dei libri e il lavoro di documentazione per i prossimi che scriverà, le recensioni, prefazioni e quarte di copertina per gli amici, testi per il teatro come ora l’adattamento di “Qualcuno volò sul nido del cuculo” riambientato nel 1982 nel manicomio di Aversa per la regia di Alessandro Gassman, gli articoli di calcio per “Il Mattino” ogni settimana e, sullo stesso tema, quattro raccolte di racconti per il piccolo editore Cento Autori.

“Mai pianificato niente, meno che mai il commissario Ricciardi”, a oggi sette romanzi, varie raccolte di racconti e una prossima serie tv su RaiUno. Però. I suoi titoli sono scanditi sulle stagioni e le feste comandate, con la più tipica coazione all’incastro dello scrittore di gialli. Anche se a lui non dice niente l’algida logica di Agatha Christie con i suoi cadaveri asettici, puro enigma per l’investigatore; apprezza di Simenon il fatto che “con lui nasce la percezione del dolore, anche nella finzione narrativa i cadaveri hanno diritto al dolore e al rispetto”; e la sua passione sono gli uomini di 87° Distretto dell’inarrivabile Ed McBain. È poi lui stesso, l’antipianificatore dichiarato, a confessare che scriverà una storia di Ricciardi ogni estate e una dei “Bastardi” ogni Natale per i prossimi tre anni, “poi mi fermerò un po’: a vivere di scrittura ancora non mi sono abituato né mi voglio abituare, può finire tutto domattina, com’è cominciato”.

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Spaccanapoli

Racconta spesso, De Giovanni, come è diventato scrittore, lui che fino a 48 anni aveva letto il mondo ma non aveva scritto una sola riga. I suoi colleghi burloni del Banco di Napoli lo iscrivono a un concorso della Porsche per giallisti esordienti, lui per puntiglio non si sottrae, ha 15 ore e 11 minuti di tempo nella sala di quel pezzo di storia che è a Napoli il caffè Gambrinus, citato in ogni suo nero e dove c’è sempre un tavolino “riservato al commissario Ricciardi”: ma gli basta un’ora e consegna la sua paginetta messa giù dopo che una bambina dal vetro gli ha fatto le boccacce non vista da nessun altro, come fosse un fantasma. Si ritrova a Firenze alle Giubbe Rosse dove Davide Protti presidente della giuria gli suggerisce: “Perché non scrivi un’altra storia di quel tuo commissario che vede i morti?” Vince, subito pubblica con un piccolo editore, poi un Ricciardi all’anno per Fandango, nel 2011 è con Einaudi e il Paolo Repetti di Stile Libero, e insomma si può immaginare una carriera più rolling stone della sua? Come a dire che le cose capitano, basta prenderle al volo. Anche se basta grattare un po’ e scopri che la sua vicenda raccontata come fosse sempre appesa al caso e alla buona sorte è fatta invece di un metodo ferreo e una disciplina modello Kant o Bach, indefessi lavoratori a orario fisso.
spettacolo-danza-tunnel-borbonicoQualcosa del genere deve capitare con le storie. Sono lì, basta raccoglierle, dice: “La città me ne racconta ogni giorno, quanti panorami mi si aprono ogni volta che entro in un vicolo, quante idee non trovo modo di seguire!” È come un rubinetto, acqua ce n’è quanta ne vuoi, ti dice indicando affreschi in androni, cortili che aprono a cortili che aprono a splendidi giardini nascosti, e accanto i bassi pieni di casse di bibite che odorano greve di umidità: tra la via Monte di Dio dov’è l’Istituto di studi filosofici di Gerardo Marotta, la via Egiziaca dove in “Gelo” vengono rinvenuti i due cadaveri, la via Solitaria dove ancora tirano su i cestini dai balconi, la trattoria “Da Ettore” che nel libro è quella di Letizia, e la città sotterranea fra carcasse d’auto e mostre d’arte nella Galleria Borbonica, in tempo di guerra anche rifugio, “dove ambienterò una puntata dei Bastardi per RaiUno”, ovviamente ancora da scrivere, che fretta c’è. Fino al lussuoso bordello anni Trenta La Suprema, Paradiso in “Vipera” dove il commissario Ricciardi indaga sulla fine di una giovane prostituta, oggi per metà hotel de charme e per metà acquisito dalla pizzeria che nel 1898 inventò la Margherita.

Piazza Gerolimini

Piazza Gerolimini

Un altro mondo, la Napoli anni Trenta di Ricciardi, se da allora la stereotipizzazione ne enumera altre quattro o cinque, Napoli milionaria di Eduardo, disperata in “La pelle” di Malaparte, saccheggiata in “Le mani sulla città” di Rosi, cialtrona col Bellavista di De Crescenzo, da ultimo la Gomorra di Saviano? Niente affatto. Al contrario, sostiene De Giovanni, “è com’era nel ’32, questa città sedimentaria cresciuta nei secoli su se stessa, le strade così strette che neanche ci puoi piazzare un ponteggio. Già allora ogni palazzo era una città: nei bassi il popolino, oggi gli extracomunitari, salendo la servitù, il piano nobile, dal quarto piano impiegati e piccoli commercianti, oggi miniappartamenti per coppie coi soldi contati. Come allora è tollerante e accogliente, e non ha smesso di vivere il potere essenzialmente in rapporto a ciò che le può dare”.

Le scale di Santa Maria Apparente che conducono, zigzagando, tra i vicoli alle strade eleganti di Chiaia

Le scale di Santa Maria Apparente

Che le storie siano lì, a portata di mano, passi. Poi però bisogna strutturarle, dar loro trama e corpo e sangue. E qui vien fuori l’anima metodica e rigorosa del sedicente nemico di ogni pianificazione Maurizio De Giovanni: “È la vittima che fa da detonatore allo scandaglio dei sentimenti, ed è diversificando ogni volta la vittima che comincio: un grande tenore, una giovane desiderata nobildonna, una cartomante usuraia, un professore universitario… Poi decido chi l’ha uccisa e perché, e chi invece sembra l’abbia uccisa e perché. A quel punto li guardo muoversi, camminare, agire, sentire, i personaggi. Un testimone, questo è per me lo scrittore, non un dio che gioca coi suoi burattini. Invece di esternare sempre te stesso, disastroso vizio di tanta letteratura italiana contemporanea, devi fare un passo indietro e raccontare, o lasciare che loro stessi, protagonisti e comprimari, si raccontino”. Qualcosa di più, in realtà, se poco dopo De Giovanni aggiunge che “alla giustizia compete trovare il colpevole, alla cronaca narrare i fatti, alla letteratura indagare il perché”: cioè appunto, per il genere “nero”, l’avvitarsi e l’esplodere delle passioni, la quota dell’animo di ognuno ove risiede l’ipotesi di un delitto. “Nihil humani a me alienum puto”, nulla che sia umano reputo a me estraneo, “non è Kant ma il “Miles gloriosus” di Terenzio, non è un imperativo etico ma la spiegazione del perché il soldato fanfarone s’impiccia dei fatti altrui e spettegola come gli pare”. È il motivo per cui “è quasi impossibile non essere scrittori a Napoli: città che amplifica ogni cosa, priva com’è di silenzi e di distanze”.

(Roberto Di Caro, L’Espresso)

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