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Tutte le facce di De Luca

 di Eduardo Palumbo

 C’è qualcosa di paradossale in questa bufera che ha travolto la Regione Campania e che vede indagati fra gli altri il governatore Vincenzo De Luca ed il capo della sua segreteria, nonché vicesegretario regionale del Pd campano e responsabile dell’organizzazione Carmelo Nello Mastursi. Lo sceriffo e la sentinella, a loro due non sfugge nulla, figuriamoci. Eppure in questa storia molte sono le cose che sono sfuggite. A cominciare dalle bugie.

8_3998356226010877228_n Tutto ruota intorno a Mastursi, il fedelissimo, la sentinella del Deluchismo che prendeva anche troppo sul serio il suo ruolo. Alla conferenza stampa alla stazione Marittima nella scorsa primavera, ad esempio, Mastursi si distinse per aver allontanato prima con una spallata un giornalista di La7 (l’inviato de La Gabbia, Nello Trocchia) e per aver colpito con un calcio al ginocchio il corrispondente de ilfattoquotidiano.it, entrambi colpevoli solo di voler fare una domanda. “Solo un sgambettino…” disse poi scusandosi con cronisti.

DE-L

Nello Mastursi

Ma torniamo ai giorni nostri, alle improvvise dimissioni di Mastursi, un fulmine a ciel sereno. Dopo cinque mesi ci si é accorti che c’era un doppio incarico. Troppo stress, troppa fatica. Il buon Nello non ce la faceva più. Un comunicato “spiegava” tutto. “L’impossibilità, dopo questi primi mesi di lavoro, di coprire contemporaneamente il ruolo di responsabile politico dell’organizzazione del Pd regionale a fronte di un impegno sempre più rilevante in vista delle prossime amministrative”. Ma lo stress evidentemente era forte, troppo forte. Con un’altra lettera Mastursi si è dimesso anche da responsabile dell’organizzazione del Pd campano. A proposito del Pd, tutto tace… Nessuno parla. Non sia mai… Un capolavoro. Degno di Alice-Crozza nel Paese delle meraviglie. La squadra mobile era stata alla regione negli uffici della presidenza, aveva sequestrato pc e chissà cos’altro, l’inchiesta stava per esplodere eppure si sosteneva la tesi dello stress, del troppo lavoro per un uomo solo.

11168129_10208443829677052_4686197065576158093_n “Leggo di questo Manna (Guglielmo Manna marito del magistrato Anna Scognamiglio n.d.r.) io non so chi sia, dove viva, cosa faccia – ha detto De Luca nel suo comizio per sbaglio denominato conferenza stampa – Nessuno in maniera pubblica né privata mi ha mai fatto cenno a questa persona. Io sono parte lesa.” La sentinella quindi, non ha mai parlato delle telefonate, delle perquisizioni e di tutto il resto con lo sceriffo? De Luca ribadisce di non saper nulla, di non conoscere nulla, di cadere dalle nuvole: e perché il 29 ottobre il suo avvocato scriveva al Procuratore della Repubblica di Roma per conto del suo assistito Vincenzo De Luca “indagato nel procedimento penale numero 37961/15/21 Scognamiglio+altri cioè ben prima del documento farsa e di tutto il resto?

Nello Mastursi

Si vedrà. Di certo una bruttissima storia, l’ennesima di una giunta regionale nata dal “pasticciaccio” della Severino, ancoro tra l’altro non concluso. L’inchiesta era nata da un’intercettazione in cui Manna chiede a Mastursi un’assunzione nell’ambito della sanità, ventilando la possibilità di un intervento di sua moglie in una vicenda che stava a cuore all’ex capo della segreteria del presidente della Giunta campana.

Per capirci di più ci affidiamo allora al decreto di perquisizione che il 19 ottobre scorso è stato disposto dalla Procura di Roma nei confronti di tutti gli indagati (tranne De Luca).

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Vincenzo De Luca, per il tramite di Giuseppe Vetrano e Carmelo Mastursi , sarebbe stato minacciato  di una decisione a lui sfavorevole da parte del tribunale civile di Napoli, con conseguente perdita della carica ricoperta  e per questo indotto “a promettere a Guglielmo Manna, sempre per il tramite dei due, la nomina a una importante carica dirigenziale nella sanità campana“.   La minaccia, secondo l’ipotesi formulata dal procuratore Giuseppe Pignatone e dai pm Giorgio Orano e Corrado Fasanelli, sarebbe partita da Anna Scognamiglio: il giudice relatore del tribunale civile di Napoli che si sarebbe occupato del ricorso De Luca contro la sospensione dalla carica prevista della Legge Severino, “abusando della sua qualità e dei poteri decisionali nella controversia giudiziaria”, avrebbe agito in concorso con il marito Guglielmo Manna e con gli intermediari Giorgio Poziello e Gianfranco Brancaccio. La condotta contestata – è ancora l’ipotesi della Procura della Capitale – “è stata reiterata in occasione dell’udienza tenutasi presso il tribunale di Napoli l’11 settembre 2015 avente ad oggetto la legittimità del Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri che aveva sospeso De Luca dalla carica di Presidente della Regione Campania.”

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Concorso in concussione per induzione: è questa l’ipotesi di reato per la quale sono indagati. Secondo le linee guida fornite dalle Sezioni Unite della Suprema Corte Concussione per induzione è quando la vittima subisce sì un abuso, ma ne approfitta anche per guadagnarci. L’esempio che viene esplicitato dalle Sezioni Unite parla di “scongiurare una denuncia, un sequestro, un arresto legittimi”. E i giudici supremi concludono: “l’induzione non costringe ma convince” a scendere a patti con il pubblico ufficiale che esercita la minaccia. Insomma, la vittima è anche corrotto, perché agisce con la stessa logica di profitto di chi si offre di pagare una mazzetta.

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Anna Scognamiglio

La giustizia farà il suo corso. Una cosa, al di là di come finirà questa brutta vicenda, è però appare certa. Come ha giustamente scritto l’Huffington Post “ viene conclamato che il giudice relatore Anna Scognamiglio avrebbe dovuto astenersi atteso che ha il marito che lavora con il sistema sanitario regionale è lì si discuteva proprio su chi dovesse comandare in Regione. Ed è dalla mancata astensione che nasce l’ultimo pasticcio. Infatti la Procura di Roma, da quanto si apprende, nella sua accusa contesta proprio che il marito del giudice avrebbe chiesto ai vertici regionali propri avanzamenti di carriera. A prescindere dall’accertamento dei reati è evidente che ciò rende clamoroso come ai sensi dell’articolo 51 del codice di procedura civile il giudice avrebbe dovuto avvertire la necessità di astenersi”

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