di Eduardo Palumbo
Il castello del Jobs act si sfalda come quello di un bambino sul bagnasciuga. E non serve neanche un’onda a buttare giù tutto. Basta ristabilire la verità. Per giorni i cantori del Jobs Act, con quel sorriso irridente, studiato che va sempre accompagnato da un bel po’ di arroganza, sono andati in televisione a sciorinare i loro dati miracolosi, col fare tronfio di chi rappresenta la ragione contro l’ignoranza. Tutti superficiali o tutti in malafede? Chissà, ma poco importa
Il direttore dell’Unità De Angelis, uno impossessato dal renzismo e Debora Serracchiani, vicesegretaria-governatrice del Pd, ad esempio, in televisione hanno raccontato che la riforma del lavoro come certificato dall’Inps, si è tradotta in più di 750mila occupati in più in un anno, perché per i furbetti del Nazareno, un contratto è un posto di lavoro, mica male no? Il trionfo dello slogan renziano “Meno precarietà, più lavoro stabile”. Peccato che la narrazione sia una bufala.
In una intervista al Fatto Quotidiano Luca Ricolfi, sociologo, professore ordinario di psicometria presso la Facoltà di Psicologia dell’ Università di Torino responsabile scientifico dell'”Osservatorio del Nord Ovest”, membro dell’European Academy of Sociology, editorialista di Panorama e de La Stampa, analizza il Jobs act e smonta la “interpretazione” del fenomeno da parte del governo.
E sia chiaro Ricolfi non è contrario al Jobs act, anzi proprio lui l’aveva proposto tre anni fa come Fondazione David Hume. Ma i dati sono dati, e non si può mica contrabbandarli, come fanno i fedeli ed i cantori del renzismo…
“Renzi sembra non comprendere il significato delle statistiche di cui parla. I 764mila posti stabili in più sono la somma fra il numero delle trasformazioni (578mila) e il saldo fra assunzioni e cessazioni (186mila). Per quanto riguarda le trasformazioni, è vero che quelle del 2015 sono state molte di più di quelle del 2013 e del 2014, ma se risaliamo anche solo al 2012 (l’anno di Monti) le trasformazioni erano state oltre 600mila, ossia un po’ di più di quelle vantate dal governo per il miracoloso 2015. E questo nonostante quello di Monti sia stato un anno di recessione”
Come dire peggio di prima e ci si vanta pure. La verità è che un record c’è stato però. Il tasso di occupazione precaria, ossia la quota dei lavoratori dipendenti con contratti temporanei ha raggiunto il 14 per cento, massimo storico da quando esiste questa statistica, cioè dagli ultimi quindici anni.
Ed allora l’interrogativo e semplice: è valsa la pena di impiegare circa 12 miliardi (5+5 nel biennio 2016-2017) per raggiungere questi risultati? . La risposta di Ricolfi non concede interpretazioni: no, non ne valeva la pena. E come fargli torto?