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Insopportabile, antipatica Hillary

di Maria Giovanna Maglie

 Sul perché una combattente indefessa ma anche una donna privilegiata e potente come la Clinton, sia così sfigata nell’aspirazione presidenziale, pur con soldi a palate e partito schierato, si scriverà molto. Non contano solo le azioni, che pure si pagano, l’avidità eccessiva nell’accumulare quattrini come se la coppia si fosse ritirata, conta la chimica. Un vecchio studio riservato sulla coppia rivelava che tutto quel che in lui era considerato furbo e perfino accattivante, fatto o detto da lei veniva giudicato spietato e cinico. Sessismo? Può darsi, o forse naturale antipatia

9510966900_731297a4b5_bAiuta la Clinton a vincere un Barack Obama che se ne va in giro per i G7 a sparlare di un candidato ormai sicuro, che dichiara che i leader del mondo sono spaventati, che chiacchiera nei corridoi con Renzi e si fa sentire mentre dice “Trump… il suo errore è..” dai giornalisti americani?

Al contrario, un presidente queste cose non le fa, gli americani si incazzano, il clima finanziario ed economico ne risente, Trump gode. Per fortuna ancora pochi mesi. Detto che se la giocano sul filo del rasoio, come in quasi tutte le elezioni presidenziali, e che la favorita resta lei, c’è una cosa che a Hillary Clinton non riuscirà: trattare Donald Trump come un fenomeno, impedire che sia normalizzato, per dirla con le parole della candidata e del suo staff.

Maria Giovanna Maglie

Maria Giovanna Maglie

La normalizzazione è già riuscita, le palate di fango Trump le ha beccate dall’autunno scorso a ieri, ha tirato dritto e ora è come immunizzato, il Partito Repubblicano si è riunito e accodato con grande rapidità, diciamo pure con sollievo, Stato per Stato; come ammette uno degli storici collaboratori dei Clinton, Paul Begala, questo è purtroppo il miglior momento per Trump, il peggiore per Hillary.

Sul perché una combattente indefessa ma anche una donna privilegiata e potente come la Clinton, sia così sfigata nell’aspirazione presidenziale, pur con soldi a palate e partito schierato, si scriverà molto. Non contano solo le azioni, che pure si pagano, l’avidità eccessiva nell’accumulare quattrini come se la coppia si fosse ritirata, conta la chimica.

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Non sarà un caso se a metà campagna elettorale del lontano 1992, quando le speranze dell’outsider Bill Clinton di ottenere la nomination cominciavano davvero a diventare concrete ma affioravano i primi scandali sessuali, uno studio riservato sulla coppia commissionato dal Partito Democratico dovette constatare che tutto quel che in lui era considerato furbo e perfino accattivante, fatto o detto da lei veniva giudicato spietato e cinico. Sessismo? Può darsi, o forse naturale antipatia.

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Hillary e Bill Clinton

Bill è come Vincent Vega, il John Travolta di Pulp Fiction, gli scappa di uccidere, ma quando arriva mr Wolf, Harvey Keitel, a ripulire la scena del crimine, è quello che ti fa davvero orrore. Se preferite, nelle parole micidiali di un altro ex collaboratore dei Clinton, Dick Morris, “lui sembra sincero anche quando mente, lei sembra mentire anche quando è sincera”. Nel caso di email illegalmente sparse in giro, e di Libia, ha mentito ripetutamente.

Ma alla fine sarà il risultato del puzzle americano a decretare il risultato. Lasciate perdere i grandi discorsi sull’impopolarità dei due candidati, in questo caso si annulla perché lui è impopolare tre neri e latini, lei tra giovani e donne. Gli analisti li chiamano generic nominee, candidati medi, non forti tanto da cambiare il risultato del partito.

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Donald Trump

Sembra incredibile che si valuti così il fenomeno Trump, prendiamolo per buono. Il partito repubblicano è favorito, tra il 50,9 e il 55 per cento, per le seguenti ragioni: economia fluttuante, Obama apprezzato ma non così popolare, presidenza della Clinton considerata come un terzo mandato di famiglia.

Ma se i modelli a tavolino non ci convincono, tanto più che non uno di questi sistemi aveva previsto che il nominato repubblicano potesse essere Donald Trump, allora il risultato dipenderà da quanti elettori bianchi Trump riesce a portare al voto, dando per scontato che la Clinton attirerà in numero veramente massiccio neri e ispanici. Ne serve un numero altrettanto massiccio a lui, l’ideale sarebbe ricreare l’effetto di Ronald Reagan nel 1984, quando milioni di democratici bianchi cambiarono partito, ed è pensando a quel precedente che la campagna Trump corteggia i seguaci di Sanders.

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Ma è impresa quasi impossibile, Reagan se li guadagnò da presidente nel primo mandato, mentre arduo ma non impossibile sarebbe portare un 74 per cento di bianchi di nuovo a votare, come nel 2008, il che gli consentirebbe di prendersi New Hampshire, Pennsylvania e Wisconsin, considerati democratici ma instabili, e tre swing, ciclicamente altalenanti, Florida, Ohio e Virginia. Se ce la fa, ha vinto.

Certo, ci vuole una organizzazione d’acciaio che Trump finora non ha, in questa nuova fase i suoi collaboratori storici litigano con i nuovi più strutturati e di partito, e il candidato tende correttamente a difendere quelli che lo hanno seguito nei tempi difficili. Ieri ha licenziato il potente Rick Wiley, che pretendeva di avere mano libera in Florida, e pare che abbia commentato “quello c’ha partito repubblicano tatuato sulla fronte”. Un aiuto glielo darebbe una recessione ,anche piccola, che favorisce sempre il partito sfidante, che è ciclicamente possibile, che soprattutto in autunno proprio la sua presenza potrebbe scatenare nei mercati.

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Trump e Sanders

A favore di Donald Trump, infine, potrebbe giocare Bernie Sanders. Un partito diviso non vince, la competizione generale si fa con un solo candidato. Dal momento in cui Ted Cruz ha mollato, i #neverTrump sono scomparsi, anche loro ritirati in buon ordine, e non credete a chi ancora oggi racconta che esista una sola possibilità che Mitt Romney si presenti come candidato terzo; il partito lo farebbe fuori, è solo una esercitazione onanista di National Review e di Bill Kristol, quei conservatori così puri che quest’anno non ne hanno azzeccata una.

Lo farebbe invece Sanders? La sua critica feroce contro il Partito Democratico, l’ostinata rabbia dei suoi quasi dieci milioni finora di elettori che giurano di non voler votare la Clinton, potrebbe arrivare alla rottura, alla decisione di presentarsi come candidato di un terzo nuovo partito? E’ quasi impossibile, ma se dovesse accadere, salutate il presidente Trump.

 (Maria Giovanna Maglie,  Dagospia)

 

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