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Le Pen e Lèpine, il nuovo Maggio francese

  di Eduardo Palumbo

Plus de frites à la cantine”.  Più patate fritte alla mensa. La controrivoluzione del mercato del lavoro è ormai al suo decimo giorno di lotta e contestazione. A Parigi, Marsiglia, Nantes, Rouen, Rennes, Brest, Tolosa sprazzi di guerriglia urbana, centinaia e centinaia di cortei, tensione, scontri, incidenti, vetrine spaccate, violenze, arresti. La Francia è pervasa da una scossa di ribellione e contestazione, un balzo indietro di quasi cinquanta anni, studenti ed operai di nuovo in piazza insieme, siamo al nuovo Maggio francese

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Scioperi nei trasporti (treni, aerei, metro), nelle amministrazioni, nella scuola, paralisi all’Opéra, Tour Eiffel e Château de Versailles chiusi, giornali assenti dalle edicole. C’è chi paragona questa sorta di “insurrezione” alla  vittoriosa lotta contro il contratto di primo impiego di 10 anni fa, anche se sono cambiate tante cose.

Ma la grande crisi ha cambiato tutto, travolto tutto. Il rigore, il mercato, il globalismo, la troika, è un altro mondo.

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Siamo al decimo giorno di mobilitazione, il blocco dei depositi di carburante e delle raffinerie e da qualche giorno anche delle 19 centrali nucleari, tutti contro la legge El Khomri sul mercato del lavoro (dal nome del ministro competente, Myriam El Khomri) contro quello che a Parigi chiamano “il Jobs Act alla francese”. Una legge per la quale il governo francese ha fatto ricorso all’articolo 49-3 della Costituzione, evitando così il voto in Parlamento (forte era il rischio che non passasse l’esame dell’aula) e sancendo così il braccio di ferro con le forze sociali.

Aumenta la distanza fra il governo ed il Paese. Secondo un sondaggio realizzato dall’Istituto Elabe per Bfm-Tv, ben sette francesi su dieci vorrebbero l’immediato ritiro della contestata legge sul lavoro  “per evitare la paralisi totale”.

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François Hollande   Paese.”

Muro contro muro. Hollande e Valls appaiono inflessibili, anzi passano al contrattacco. E non risparmiano di certo le accuse.  “I sindacalisti non possono prendere in ostaggio i francesi. Il governo non ha nessuna intenzione di ritirare  la riforma del lavoro. Il sindacato non detta le leggi di questo Paese.”

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Emmanuel Lépine

Il compito di rispondere alle accuse del governo è stato affidato dalle organizzazioni sindacali al volto pacioso e rassicurante del segretario generale della chimica e petrolio, Emmanuel Lépine che con la sua bella camicia vintage a strisce viola si è fatto tutte le televisioni. “Che il governo in questi giorni bui e insanguinati da attentati e terroristi parli di popolo francese preso in ostaggio è incomprensibile e del tutto fuori luogo. Il governo è in preda di una crisi di nervi se parla di ricatto del sindacato. Perché se esercitare il diritto di sciopero diventa ricattare, allora vuol dire che è la fine della democrazia”.

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Povero Hollande, un incubo. Il suo indice di gradimento è ormai crollato da tempo, si e no solo due francesi su dieci sono ancora con lui. Stretto, accerchiato com’è a destra e sinistra: dalla Le Pen a Lèpine, sembra un ritornello ma è l’essenza dell’impalpabilità del governo francese giorno dopo giorno sempre più isolato.

Paradossalmente solo in occasione del dolore e  delle stragi di Charlie Hebdo e del Bataclàn il popolo francese si è stretto intorno al suo Presidente. Ma si è trattata Una solidarietà simbolica, non politica.

Parigi, Nuit Debout, Place de La République

Parigi, Nuit Debout, Place de La République

L’azione di governo è contestata aspramente. A fianco, anzi un passo avanti al sindacato, nella lotta alla legge El Khomri, c’è la democrazia a cielo aperto di  Nuit Debout  il movimento sociale spontaneo nato il 31 marzo a Parigi, dopo una giornata di forte proteste contro la proposta di Riforma del Lavoro avanzata dal Governo Hollande.

Giovani e adulti tra i 20 e i 50 anni che riempiono tutte le sere Place de laRepublique e si fermano fino a mezzanotte, quando lo Stato di Emergenza francese li obbliga a sgomberare. Nuit Debout vuol dire proprio questo. Notti in piedi.

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François Ruffin

Il gruppo (che ha tra i leader François Ruffin, una sorta di Robin  Hood, fondatore di Fakir. “giornale arrabbiato con tutti. O quasi”), ha un denominatore comune con movimenti di protesta nati negli ultimi anni, da Occupy Wall Street a Gezi Park: “ giovani, cittadini che vogliono avere la possibilità di dire la loro, di poter dire di sì o di no ad ogni nuova legge che viene proposta, non accettando più di delegare tutto a governi percepiti e sentiti troppo distanti e poco rappresentativi.”

 In una società a crescita zero, Nuit Debout  chiede maggiore protezione, meno precariato, una riduzione dell’orario,  le 35 ore, una democratizzazione delle relazioni di lavoro. E, naturalmente, neanche vuol sentire parlare di Jobs act o legge El Khomri che sia…

 

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