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Figli, nipoti e cose turche

di Corrado Ocone

In Turchia lo chiamano rilascio condizionato. Il ministro della Giustizia, Bekir Bozdag, si è affrettato a dire che il governo turco non sta realizzando un’amnistia. La mossa a sorpresa è arrivata per decreto, come concesso dalla legge d’emergenza in vigore. Ma perché? Gli osservatori non hanno dubbi: per far posto in cella quei trentacinquemila che sono stati arrestati finora in seguito al fallito tentativo di rovesciare militarmente le istituzioni. La Turchia non finisce di sorprendere

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Erdokan junior e Ruby

La storia del figlio di Erdogan mi ha fatto venire in mente quella ben nota, di qualche anno fa, della sedicente “nipote di Mubarak“.

Nell’uno e nell’altro caso, è stato tirato in ballo un familiare stretto di un satrapo orientale, l’autocrate di un moderno (si fa per dire) stato islamico. Solo che nel primo caso è tutto tremendamente vero, registrato e diffuso in un’intervista ufficiale; nel secondo, si trattava di una storia, fra il boccaccesco e il surreale, che hanno preso sul serio solo i magistrati politicizzati e quegli indignati (o finti tali) in servizio permanente effettivo che volevano risolvere la “pratica Berlusconi” per vie non elettorali.

D’altronde, quanta differenza fra il ghigno minaccioso di Erdogan e la piacioneria complice, e già solo per questo liberale, di un Berlusconi!

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E, in effetti, come non considerare i modi e la sostanza dell’intervento a gamba tesa da parte del dittatore turco nei confronti del nostro Paese? Sulla sostanza illiberale c’è poco da dire, se non meravigliarsi di come si possa in modo così sfacciato e impunito, anzi ufficiale, ancora oggi nel 2016, mischiare pubblicamente affari privati e cosa pubblica. Quasi che le leggi possano avere cogenza e valore solo a discrezione dei giudici. E quasi che uno Stato possa considerare un altro Stato come “proprietà privata di…”.

Ma ciò che lascia ancora più allibiti è l’arroganza che chiunque ormai può impunemente mostrare nei confronti del nostro Paese, la cui politica estera è non solo irriconoscibile e inefficace ma è tale da essere ridicolizzata da chiunque. Dal caso dei marò in India a quello del giovane Regeni in Egitto, non c’è Paese che non si senta in diritto di umiliarci. Per non parlare poi del caso del seggio all’Onu che ci toccherà dividere con l’Olanda o dello scavalcamento Usa in Libia (dopo pure abbiamo cospicui interessi economici) vista la nostra incapacità di farci coordinatori, come promessoci, delle iniziative sul campo.

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Fino, appunto, al caso di Erdogan che si sente in diritto addirittura di minacciarci pubblicamente, di umiliare un popolo intero quasi come il suo Stato di diritto non esistesse e la sua Costituzione fosse carta straccia. E che dire delle copertine dell’Economist, che ci descrivono (forse a ragione, ma non è questo il punto) sempre sull’orlo del precipizio?

Certo, anche Berlusconi non godeva di rispetto internazionale, tanto che, dopo i “risolini” di circostanza della coppia Sarkozy-Merkel, fu scavalcato sul bombardamento che portò alla fine del regime libico di Gheddafi.

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Merkel, Sarkozy e i sorrisetti

Ma in quel caso c’entrava molto anche l’autonomia che, con qualche imprudenza, il nostro si era conquistato.

D’altronde, come aspettarsi che venga rispettato un Paese il cui leader ha l’occasione di nominare l’alto rappresentante per la politica estera europea e fa il nome di un politico di secondo piano, incolore e senza esperienza, come Federica Mogherini?

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Federica Mogherini e Matteo Renzi

 

La domanda da porsi, in conclusione, è questa: un Paese come il nostro, collocato geograficamente in modo strategico a cavallo fra Europa e mondo islamico, con una forza demografica e anche (nonostante tutto) industriale ancora rilevanti, può essere così poco considerato?

E anzi, nonostante i tanti viaggi con famiglia e famigli al seguito del nostro premier, essere preso un po’ come lo zimbello di tutti?

 

 

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