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Ventotene, l’isola che non c’è

di Corrado Ocone

Matteo Renzi, Angela Merkel e François Hollande, un vertice  per tentare di costruire un’Europa nuova, dopo il terremoto Brexit: si è parlato di crescita, sicurezza, flessibilità, austerity, difesa, investimenti, giovani. E naturalmente le relazioni Ue-Turchia, il fronte libico, la guerra in Siria, il rapporto tra migranti e terrorismo. Tante emergenze, ma tante speranze. L’Europa supererà comunque questo momento difficile e garantiremo sicurezza ed una vita secondo i nostri principi. La risposta dei tre leader è stata unanime. Il vertice si è tenuto a Ventotene, per ripartire da dove si è cominciato. Si è invocato spesso lo spirito di Ventotene. Ma il celebre Manifesto oggi è ancora attuale?

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Merkel, Hollande e Renzi sulla tomba di Spinelli

Il “mito” e la retorica, pur non essendo elementi razionali, o forse proprio per questo, hanno in politica un ruolo importante: aggregano attorno a certe idee, suscitano energie, generano passioni. Lungi da me, pertanto, criticarne l’uso. Ciò non esime però dal chiederci, di volta in volta, se determinati miti aggreghino attorno a idee condivisibili o meno, siano cioè una buona o meno buona base per l’azione. Perché, anche quando concernono fatti o personaggi del passato, essi rispondono sempre ad un’esigenza del presente e hanno gli occhi rivolti al futuro. Per farla breve, il fiume di retorica che sgorga in modo spesso irriflesso quando si parla del Manifesto di Ventotene, è ben riposto o no?

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Corrado Ocone

Il Manifesto è davvero un testo in sé solido, e per di più originale, o la sua fortuna è dovuta soprattutto a cause esterne e al contesto in cui maturò ed ebbe poi diffusione? E, soprattutto, le sue idee, ovviamente riviste e “attualizzate”, possono ancora essere le nostre? È sulle sue basi che si può costruire la politica del futuro, o anche l’auspicabile rinascita di un sentimento europeista?

Ora, basta leggere lo smilzo testo scritto nel 1942 da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi per renderci conto, da una parte, della approssimativa “filosofia della storia” che lo sorregge, dall’altra, del metodo e dei contenuti non proprio liberali da esso proposti all’Europa unita di cui auspica la nascita. Dal primo punto di vista, il trambusto che viveva allora l’Europa, e che aveva portato a due guerre mondiali, viene messo sul conto degli Stati nazionali, di cui si auspica il superamento: garanti ultimi in un primo momento delle libertà civili e politiche dei cittadini di un determinato territorio, essi hanno poi mostrato la loro più vera natura di entità politiche “imperialistiche” volte al predominio e alla sopraffazione degli altri.

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Renzi, Hollande e Merkel

L’ideologia nazionalista è stato perciò il grimaldello culturale a cui essi sono appoggiati. Questa deriva è, per gli estensori del Manifesto, consustanziale ad ogni Stato nazionale. Ed è proprio per batterla in breccia che essi propongono gli Stati Uniti di Europa. È una visione tutta politica della “crisi europea” che non tiene in debito conto i fattori culturali e ideologici che ne sono stati alla base e che spesso si sono serviti degli Stati, non viceversa. Nei confronti dello Stato, in verità, Spinelli e Rossi hanno in verità un atteggiamento ambiguo: lo giudicano un ferro vecchio del passato, ma non esitano poi a proporre ricette fortemente “stataliste” per la nuova Europa post-statale che vogliono costruire. Non si rendono conto che lo Stato mostra il suo volto “cattivo” proprio quando si riempie di valori contenutistici, ovvero quando non li fa emergere dal libero gioco politico di cui dovrebbe essere semplicemente il garante. Il Manifesto si spinge in tal senso a dire che l’Europa “dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni più umane di vita”.

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Matteo Renzi e Merkel

Di qui un elenco di politiche che dovranno essere seguite per darle il profilo che dovrà necessariamente avere, indipendentemente dai rapporti di forza fra i partiti politici e dal consenso dell’opinione pubblica: “nazionalizzazioni su vasta scala, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti”; controllo e forte limitazione, secondo dosi e tempi da stabilire pragmaticamente, del diritto di proprietà, soprattutto di quella individuale (nei limitati settori non statizzati si dovranno infatti favorire la gestione cooperativa e l’azionariato popolare); interventi attivi sui giovani per equiparare le loro condizioni di partenza e equiparazione successiva dei salari e degli stipendi medi, attraverso il controllo statale del meccanismo della domanda e offerta; reddito minimo garantito dallo Stato da sostituire alle “avvilenti” attività caritatevoli individuali (cioè combattere, o illudersi di combattere, la povertà ex ante e non ex post); sindacati rinnovati e non succubi delle logiche del “grande capitale”); una laicità attiva dello Stato, che dovrà non solo neutralizzare le pretese pubbliche delle religioni, ma che dovrà anche “riprendere la sua opera educatrice per lo sviluppo dello spirito critico” (quindi uno Stato pedagogo) e “fissare in modo inequivocabile la sua supremazia sulla vita civile“; soppressione delle corporazioni dello Stato fascista il cui scopo era soprattutto quello di effettuare “un controllo poliziesco sui lavoratori” (e su questo punto unicamente anche un liberale può essere d’accordo).

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Matteo Renzi e Francois Hollande

Ora, è evidente che se queste debbano essere le caratteristiche imprescindibili della nuova Europa, in quanto in sé “giuste” e “buone”, a prescindere, bisogna che, a guerra finita (cioè quando a causa del fallimento degli Stati nazionali se ne creerà l’occasione), venga messa in opera una rivoluzione che, per il bene di tutti, determini nel più breve tempo possibile un siffatto stato di cose (ed è questo il senso politico del Manifesto, lo scopo per il quale fu scritto: richiamare all’azione le forze rivoluzionarie e non farle trovare impreparate rispetto a un imminente futuro imminente).

Una rivoluzione nel senso preciso del termine, per Rossi e Spinelli: un processo cioè che, in vista dell’obiettivo, sospendi l’ordine democratico, non rifiuti l’uso della violenza, sia guidato da un’élite di rivoluzionari molto determinati e con gli occhi fissi verso l’obiettivo dell’Europa socialista. È il tratto “giacobino-leninista” del Manifesto, che lo stesso Spinelli avrebbe ammesso molti anni dopo. “La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria”.

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Hollande

Ora, sia ben chiaro, la politica viene fatta attraverso l’azione di élite, sempre, anche in democrazia. In un regime liberale, tuttavia, è necessario che tutti possono aspirare a farne parte e che esse sorgano dal basso, siano diverse e in aspra competizione fra di loro, siano alternativamente al potere secondo la volontà dei cittadini.

Nessuno può proclamarsi a priori di farne in nome di un’idea ritenuta superiore, arrivando a sospendere il gioco democratico o a non tenere conto degli umori e delle convinzioni dei cittadini-elettori.

Nessuno può ritenersi portatore di idee buone e indiscutibili, di agire paternalisticamente per il bene degli altri anche se gli altri non vogliono. Che è quanto, in sostanza, fanno Rossi e Spinelli. I quali hanno dietro le spalle la più fallace delle ideologie e teologie politiche, quella del Progresso. Per loro la storia si muove inesorabilmente nella direzione del bene. E il bene, astrattamente definito, non è una opzione concreta delle nostre azioni, il possibile e precario risultato dell’azione di un essere in se fallibile. Il bene è già iscritto nella storia. Ciò che a noi è possibile è solo accelerare il processo, “forzare la mano alla storia“, realizzare una “rivoluzione dall’alto”.

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Renzi

La via da percorrere non è facile e sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà”. Siamo, in altre parole, pienamente all’interno del dispositivo logico che era stato proprio dei totalitarismi, in prima istanza di quello sovietico, verso il quale il Manifesto ha come un occhio di riguardo non considerandolo probabilmente affetto dalla patologia del nazionalismo a cui vengono ricondotti in modo esclusivo i Mali dell’umanità (l’Urss viene però giustamente criticata per la sua deriva burocratica, senza però che gli autori si rendano conto che anche la iperegolamentazione a cui loro tendono non può non avere che questo esito).

In definitiva, è “attuale” il Manifesto scritto a Ventotene più di settanta anni fa? Ho risposto a tutte le domande che mi ero posto all’inizio? Non lo so. Credo però che i lettori abbiano ora gli elementi per farlo da soli.

 

 

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