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Napoli, menestrelli & becchini

di Valerio Caprara

 Non è che il punto di partenza scateni, a essere sinceri, un entusiasmo straripante. Intendiamoci, il concept progettuale e la struttura (oratori in primis) del convegno del Pan appaiono di buon livello e superiori ai sospetti di fumisteria pretestuosa: resta il fatto, però, che, riducendo la questione all’osso, la scelta dei modi con cui oggi è possibile raccontare Napoli spetta soprattutto agli artisti e a chi si ritiene o è ritenuto tale.

Valerio Caprara

Valerio Caprara

Sceneggiatori, registi e attori dovrebbero, infatti, assumersi – e quasi sempre lo fanno, a meno che non trovino più comodo rifugiarsi sotto le insegne dello sponsor politico-ideologico di turno – tutta la responsabilità di mettere mano a un magma affascinante e spaventoso di una città-mondo che tanto adora essere rappresentata in immagini e storie, quanto beffardamente sfugge a quegli stessi autori che vorrebbero pietrificarla in una sorta di monumento fornito di un’unica e definitiva lapide.

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Marco D’Amore e Salvatore Esposito

Il pericolo, in questo senso, può magari essere quello d’essere nuovamente risucchiati dal duello, che abbiamo visto spesso risolto con l’uso e abuso di armi polemiche improprie, tra i costruttori del fenomeno presunto cattivista “Gomorra” (la cui terza stagione è, tra l’altro, da qualche mese in piena lavorazione) e gli adepti del lusinghiero trionfo d’audience conquistato dagli amabili “Bastardi di Pizzofalcone”.

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Carolina Crescentini e Alessandro Gasman

Certo la nausea è in agguato, però forse si è capito che non c’è nulla di più puerile e controproducente dell’ostinarsi a mettere in conflitto il racconto della bellezza (qualcuno lo chiamerebbe “dell’ammore”) contro quello del degrado e la ferocia: non avere paura delle sterminate contraddizioni allignate, ahimè non da oggi, sotto il Vesuvio resta la condizione indispensabile per oltrepassare gli scontati paradigmi del Bene e del Male e liberare il talento, quando c’è, da qualsiasi modello d’ipocrisie o censure.

Aguglie Imperiali.

Tenendo conto dell’esistenza di una messe di modelli meno ambiziosi, ma non per questo meritevoli d’essere snobbati o, al contrario, di essere destinati a una sorta di assoluzione plenaria (dal giallo-comico alla “Song’e Napule” agli sguardi sociologicamente stroboscopici sul rapporto indigeni-immigrati alla “Vieni a vivere a Napoli”; dal neonoir alla De Angelis di “Indivisibili” al poliziottesco autoriale alla “Falchi” di D’Angelo junior), risulta evidente che i giacimenti della cosiddetta napoletanità (termine che peraltro vuol dire tutto e niente) sono bel lontani dall’esaurimento. Altro che “irrappresentabilità” di Napoli, come affermava qualche tempo fa Galli della Loggia e altro che eden ribelle ormai espurgato dai foschi anatemi di Salvini, pardon Saviano (magari fa lo stesso per qualche slogan stradaiolo).

Valerio Caprara

Valerio Caprara

E’ persino banale immaginare su cosa dovrà spendere lacrime e sangue chiunque si accinga –il pensiero speranzoso e insieme timoroso non può che a questo punto andare all’impresa prossima ventura della trasposizione dei bestseller della Ferrante- a sguinzagliare l’occhio della macchina da presa nei gangli pulsanti dell’odiosamata metropoli: l’accuratezza della profondità psicologica da dare ai personaggi: lo studio meticoloso e non autoreferenziale degli habitat in cui si muovono; la messa a fuoco di uno stile che permetta al “realismo” di trasformarsi in poetica e/o epica; la ricerca di un approccio rigoroso, ma non moralistico o peggio ancora redentoristico (compiti che toccano ai poteri dello stato).

La stella cometa da seguire a ogni costo, infine, dovrà essere sempre quella del rifiuto della pantomima provinciale in cui tutto si dispone e smanaccia sullo stesso piano, da Maradona ospitato al San Carlo al Real Madrid al San Paolo, nel segno dell’ossessione dell’immagine. “Immagine”, appunto, che a molti anche nell’ambito dell’industria dello spettacolo sembra sinonimo di cultura, fantasia, talento, audacia, fedina artistica da sventolare sotto il naso dell’universo ostile per principio a Vico, Croce, Totò, Eduardo, Pino Daniele e Insigne.

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Paolo Sorrentino e Matteo Garrone

Meno male che legittimi eredi come Matteo Garrone o Paolo Sorrentino per lanciarsi nell’oceano mediatico intercontinentale hanno trattato come carta straccia i precetti degli autonominati menestrelli dell’eccezionalismo napoletano che aspirano in realtà a esserne i becchini.

 

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