di Gianpaolo Santoro
“Oh, quanta strada nei miei sandali; quanta ne avrà fatta Bartali; quel naso triste come una salita, quegli occhi allegri da italiano in gita…” cantava così quel poeta che è Paolo Conte rievocando le gesta di un campione che è stato più di un campione: Gino Bartali. L’uomo che pedalando e pedalando ancora come scrisse il cantore Gianni Brera “venne additato come salvatore della patria perché il giorno in cui spararono a Togliatti la gente accorse ad ascoltare la radio anziché assaltare le prefetture…”
Ma c’è di più molto di più. Non a caso Bartali è stato paragonato a Schindler, un vero eroe che non ci ha pensato neanche un momento a rischiare la vita per salvare centinaia e centinaia di ebrei. “Mentre le leggi razziali vengono applicate con brutalità in Europa –ha scritto Oliviero Beha nel suo “Un cuore in fuga”- circa quindicimila ebrei raggiungono l’Italia per trovare rifugio. E’ allora che il campione diventa una sorta di staffetta al servizio della rete clandestina Delasem (Delegazione per l’assistenza degli emigranti ebrei, ndr). ‘Se ti scoprono ti fucilano’, gli dice il Cardinale Dalla Costa nell’affidargli l’incarico. Ma Gino non si ferma, finge di allenarsi e in realtà trasporta documenti falsi, celati nei tubi del sellino e del manubrio. Migliaia di chilometri percorsi avanti e indietro da Firenze, per consegnare nuove identità alle famiglie ricercate con feroce determinazione dai fascisti della repubblica sociale e dai nazisti. Sono più di ottocento gli ebrei che hanno avuto salva la vita grazie al valore silenzioso di un grande del novecento…”
E così quattro anni fa al Mausoleo della Memoria Yad Vashem a Gerusalemme, il nome di Gino Bartali venne impresso sul Muro d’Onore nel Giardino dei Giusti. E mai fu più giusto.
Un uomo, una bicicletta, la causa ebraica. Sono passati molti, tanti anni, ma c’è ancora da pedalare e pedalare ancora, perché la strada per gli ebrei continua ad essere maledettamente, terribilmente in salita.
Certo viviamo, per fortuna, un’epoca diversa. Certo, non c’è e non ci potrà mai essere un altro Bartali, un brontolone che non soffriva le ingiustizie, generoso, sempre pronto ad aiutare chi ne aveva bisogno, incapace di dire di no a qualcuno. Una sola volta disse no. Nell’immediato dopoguerra quando gli proposero un seggio in parlamento. Rifiutò, ma non perse il gusto della battuta. “L’uomo adatto era per andare a Montecitorio era Coppi, lui era democristiano. Io solo cristiano…”
Ora una sorta di viaggio della Memoria in bicicletta è quello che ha intrapreso da una settimana Giovanni Bloisi, il ciclista che pedala contro l’antisemitismo e contro il razzismo (è andato, sempre in bici ovviamente, anche ad Auschwitz per testimoniare l’orrore di quel lager). Bloisi il 24 aprile (in occasione dello Yom HaShoah (Giornata del ricordo dell’Olocausto, secondo il calendario ebraico) taglierà il “traguardo” di Tel Aviv dove incontrerà il presidente dello Stato d’Israele, Reuven Rivlin.
Prima di arrivare alla grande “collina di primavera” farà una ventina di soste in Italia e in Grecia, tra luoghi-simbolo della follia nazifascista per incontrare gli studenti, per onorare le vittime delle persecuzioni e, per mantenere viva la Memoria.
Racconterà piccole grandi storie, ai più sconosciute, come quella di Sciesopoli, la colonia fascista montana di Selvino, in Val Seriana che tra il 1945 e il 1948 nascose e salvò ottocento bambini ebrei orfani, reduci dai campi di concentramento. In silenzio. Proprio come fece Gino Bartali
Ottimo