“Un affresco in nero” (edito da il seme bianco) l’ultimo lavoro di Franz Krauspenhaar, è una sorta di affresco caravaggesco nel quale un famoso pittore contemporaneo, un Francis Bacon italiano, mentre sta per morire di un male incurabile racconta a una sua giovane assistente tutta la sua vita, dalla nascita nelle campagne lombarde durante la guerra, passando per il dopoguerra, gli anni del boom e gli altri decenni, sempre trascorsi a Milano.
Fabio Bucchi è un pittore milanese alla fine della sua vita. Nato all’inizio degli anni quaranta, mentre la guerra divampa sempre di più in un’Italia mortalmente divisa, il romanzo è una specie di saluto finale di un artista che per un male incurabile sta lasciando questa terra e la sua Milano, che egli racconta dai primi anni Cinquanta, nella vita povera ma onesta col padre ex repubblichino e la madre borghese e istruita, fino al lavoro a Sesto San Giovanni, agli incontri, alla politica, alle invettive e alle grandi stragi che marchiarono a fuoco il nostro paese. In un certo senso, una storia dei nostri ultimi 70 anni attraverso l’esistenza di un grande artista del nostro tempo (le sue iniziali non a caso sono quelle di Francis Bacon), un pittore visionario che arriva al successo grazie all’aiuto politico, grazie a Bettino Craxi.
Anche Bucchi fa parte di quel corteo di “nani e ballerine” che fece parlare di sé, nel bene e nel male, negli anni 80. La storia d’Italia, attraverso i decenni e e i fatti salienti è anche la storia di un italiano importante, Fabio Bucchi, venuto dal niente di una periferia milanese e arrivato agli altari. Dopo la fine del suo protettore nulla cambierà, nel senso che l’artista continuerà ad aumentare il suo prestigio, ma anche la sua voraginosa solitudine.
Un vero affresco in nero fatto da un pittore su decenni di storia italiana, una ricognizione politica, sociale e di un’anima in costante pena. Una commedia italiana, che ci racconta in filigrana chi siamo stati e chi continuammo a essere