di Gerardo Verolino -
Anche Gino Paoli è stato colpito dal morbo della “guzzantite”, cioè quella strana malattia che colpisce gli uomini dello spettacolo, in larga misura cantanti ed attori, rigorosamente “de sinistra” ad intervenire su tutto quanto riguardi l’attualità o la politica, tranciando giudizi, prendendo posizione, sposando una causa, ma, soprattutto, pontificando ex cathedra.
Gino Paoli, per fare bella figura con gli isolani che volevano salvaguardare la stagione turistica messa in pericolo dalle notizie del terremoto agostano, che ha provocato numerosi crolli e 1500 sfollati, è andato oltre le semplici parole di circostanza per dire che non c’era nulla da temere e che si poteva tranquillamente soggiornare sull’isola ed ha accusato i giornalisti di “eccessivo allarme, e per questo motivo andrebbero denunciati. Parole grosse ed in libertà che hanno suscitato la, legittima, riprovazione dei giornalisti e di buona parte degli stessi ischitani.
Ma cosa spinge un artista ad andare al di là delle sue specifiche competenze che sono quelle di intrattenere il pubblico con le proprie doti, canore o attoriali, e di ergersi a moralizzatore o a censore dei costumi e dei comportamenti, o, in una parola, a fungere da tuttologo, e perché, tante persone pendono dalle loro labbra? In fondo i moderni chierici rappresentati, dai ginopaoli o dalle sabineguzzanti, vanno a riempire un vuoto, quello dei maître à penser, o degli intellettuali che andava molto di moda fino agli anni ’70 e che, in Europa, ha avuto la sua massima espressione nello scrittore francese Jean-Paul-Sarte, e in Italia, ha avuto il suo faro in Pier Paolo Pasolini.
Fungono da surrogati. Colmano lo spazio lasciato loro dalla crisi delle ideologie e dal decadimento della cultura letteraria come fenomeno di massa. Oggi ci sarebbero ancora intellettuali che potrebbero tracciare una linea verso un orizzonte. Ad esempio Bernand-Henri-Lévy, o in Italia, Claudio Magris, o, lo stesso Galli della Loggia. Ma chi li conosce? I giovani vogliono le Guzzanti, o le Fiorella Mannoia, o i Michael Moore, o i Saviano, o gli Scanzi, tutti prodromi pre-grillini. Non Moretti che è troppo elitario e che non si rivolge, mai, alle masse. Naturalmente questi moderni maestri del pensiero devono presentarsi come appartenenti ad una cultura di sinistra pena il discredito o l’emarginazione.
Come successe ai poveri Albertazzi, Zeffirelli e Buzzanca quando confessarono la loro simpatia verso l’area di Centro-destra.
Cosa che, però, non nocque più di tanto al Cavaliere che aveva assurto come artista “paradigmatico” del berlusconismo quel Mike Bongiorno che raffigurava l’uomo medio che raggiunge il successo, filosofia del self-made-man che il Cavaliere impersonava. Così spingeva l’italiano a pensare: se ci sono arrivati loro, ci posso arrivare anch’io.
Fregando gli spocchiosi di sinistra, In America, invece, fino alla presidenza di George W. Bush, gli artisti si dividevano equamente in entrambi gli schieramenti partitici, Repubblicani e Democratici.
Durante la sontuosa presidenza di Ronald Reagan però tutti i grandi del tempo: da Frank Sinatra a John Wayne, da Dean Martin a James Stewart, fino a Charlton Heston erano schierati tutti dalla sua parte. Un’altra epoca ed altri artisti che non rivedremo più.