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Estranei in patria

 di Emiddio Novi

Il primato delle città con più abitanti tocca al Bangladesh, al Pakistan, all’India, al Messico. Le megalopoli cinesi rispondono a una logica diversa. Non sono metastasi cancerogene come Calcutta, Nuova Delhi, Kinshasa. Fu la prima rivoluzione industriale a provocare una crescita esponenziale delle città. Manchester agli inizi dell’Ottocento era un borgo agricolo. Nel 1830 contava oltre trecentomila abitanti. I contadini deportati dalla espropriazioni degli usi civici alla pastorizia, al legname, alla coltivazione di sussistenza, furono costretti a lavorare 16 ore al giorno per salari di fame.

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Le città della prima rivoluzione industriale erano invivibili nelle loro periferie sommerse dall’immondizia, da rigagnoli putridi, dalla caligine che incupiva e rendeva l’aria irrespirabile. Le nuove megalopoli del Bangladesh dell’India, del Pakistan sono una stratificazione di miseria, degrado urbanistico, baraccopoli che si estendono per decine di chilometri. Le periferie sudafricane sono immense e sconosciute persino ai governanti. Osservate dagli aerei di notte, sono un susseguirsi rado di luci fioche, di distanze incolmabili dal cuore occidentalizzato di benessere parassitario.

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In Occidente le megalopoli segnano il divorzio dall’antico assetto urbano. Da Parigi a New York i ceti popolari sono stati cacciati dai centri storici. Li hanno esiliati nelle periferie governate dalla criminalità. Questi scenari di sviluppo urbano con le loro metastasi sociali, etiche e urbanistiche sono la prospettiva su cui si muove il mondialismo. Queste megalopoli dovrebbero sostituire le nazioni e gli Stati. Agglomerati in cui vivono i miserabili senza futuro e le nuove élite mondialiste che si sentono cosmopolite e si considerano turiste in patria.

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L’unico valore in cui credono è il denaro, sono schierate in difesa delle minoranze gay, abortiste, etniche. Ma odiano il popolo a cui appartengono.
Christopher Lasch diceva che queste élite hanno una visione turistica del mondo. E ” il multiculturalismo si adatta loro alla perfezione, contribuendo a definire la piacevole immagine di una sorta di bazar globale in cui cucina esotica, modi esotici di vestire, musica esotica possono venire assaporati indiscriminatamente senza problemi e senza impegno.”

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Christopher Lasch

Estranei in patria, nomadi dell’esistenza, sdradicati e narcisisti, senza carattere e senza personalità, i ceti affluenti sono la rovina dei Paesi in cui vivono. Il mondialismo, che ha orrore per la famiglia tradizionale, per il legame con la propria terra, per le identità culturali, coltiva e incoraggia questa cultura del narcisismo fatua, e priva di valori.

I ceti affluenti delle megalopoli sono partecipi di tutte le pseudo sofferenze del mondo, ma il loro è un mondo senza cuore verso gli esclusi che vivono nella loro città, a qualche chilometro di distanza dal loro ristorante preferito. Sono liberal e di sinistra ma disprezzano le periferie che spesso si fanno sedurre dal populismo.

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Emiddio Novi

Sono contro il melting pot etnico e culturale. Quel meticciato che rompe equilibri e assetti millenari. Per trasformare tutti in una poltiglia sociale sazia o disperata, terreno di coltura per un totalitarismo digitale per nulla innovativo nelle logiche di dominio, di censura preventiva e di lavaggio del carattere.

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Un pensiero su “Estranei in patria

  1. Daniele, Napoli

    Una coppia di persone che erano nel condominio in cui abitiamo noi, si sono messe in pensione e sono tornate a vivere nella (piccola) cittadina da cui sono arrivati quaranta e più anni fa.
    Certo lo hanno fatto per motivi affettivi.
    Ma sicuramente lo avranno fatto per un desiderio, un’illusione (dice mia madre), di vivere meglio.
    Le grandi città sono dispersive. Cominciando dal fatto che quasi sempre bisogna prendere i mezzi pubblici per spostarsi da un punto all’altro, e non sempre è facile. Qualche giorno fa sono andato dal mio dermatologo. Ho pagato € 20. Mi sono meravigliato ed il tassista mi ha detto che erano più di 10 km. Non avevo mai fatto caso che all’interno di una città si potessero percorrere distanze così lunghe.
    Ogni quartiere delle grandi città dovrebbe avere le filiali dei principali uffici pubblici, non sempre è così. Invece una cittadina di medie dimensioni è probabile che le abbia. Se poi c’è bisogno di andare nella grande città, si può scegliere il treno o una delle numerose compagnie di viaggio su pullman.
    Senza contare che diffondendo le medie cittadine forse si fa un favore anche all’ambiente. Quante volte sentiamo parlare di frane o incendi in zone non abitate, abbandonate?
    Finora abbiamo avuto la concentrazione della popolazione in grandi aree urbane. E pare che tale tendenza continui. Ma spero che in futuro avremo medie cittadine, con tutto ciò che può servire, collegate da efficienti mezzi di trasporto pubblico.

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