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Sull’orlo di una crisi di nervi

di Carlo Paolo Visconti

I docenti scappano dall’insegnamento. Non ci pensano più due volte. Renzi punta sulla scuola ma sua moglie lascia la cattedra. Precari di nuovo in lotta. 

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I docenti e gli Ata (gli amministrativi, i tecnici e gli ausiliari) hanno il contratto scaduto ormai dal 2009, con stipendi tra i più bassi d’Europa. Sono bloccati gli scatti stipendiali automatici previsti dal contratto per consentire almeno un piccolo recupero dell’inflazione. Opportunità negata anche ai cosiddetti docenti “quota 96” (con almeno 36 anni di servizio e 60 anni di età o 35 anni di servizio e 61 di età) che avendo già maturato i requisiti per andare in pensione con la vecchia normativa sono stati bloccati a scuola fino a 67 anni dall’entrata in vigore della legge Fornero perché non è stato previsto che nella scuola l’anno scolastico termina il 30 agosto e non il 31 dicembre.  Per Francesco Francesco Scrima, segretario Cis scuola, si tratta di un segno di resa. “Insegnare oggi richiede fatica e impegno che non vengono riconosciuti. Ecco perché in tanti hanno deciso di andare via dalla scuola”.

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Agnese Landini Renzi

E, nonostante i proclami di Renzi sull’importanza della Scuola, non è che le cose vadano meglio, anzi. Ha alzato le mani anche Agnese Landini, la first lady che ha lasciato la supplenza. “Non ce la faccio più a tenere tutto insieme. Ci ho provato a tenere tutto insieme: il lavoro, la famiglia, la politica. Sono molto dispiaciuta di dover lasciare i ragazzi proprio poco prima della fine dell’anno scolastico, ma questo è stato un periodo di cambiamenti enormi e io devo pensare ai miei cari”. Una rinuncia che ha il sapore di uno smacco. Lo scontro è frontale.

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Giannini come la Gelmini, lo slogan è pronto. Ed è per questo che il 21 marzo ci sarà la giornata della dignità precaria “Il disegno del ministro Giannini – si legge nel manifesto del Coordinamento delle scuole di Roma – risulta chiaro: privatizzare, dequalificare la scuola pubblica impoverendola di contenuti e di professionalità; realizzare tale risultato parlando all’opinione pubblica, alle famiglie e agli studenti. La proposta di riduzione di un anno del ciclo scolastico, se non viene spiegata in tutta la sua pericolosità, può trovare facili consensi tra i genitori e gli studenti; è necessario contrastare efficacemente l’impoverimento didattico che ne conseguirebbe attraverso l’informazione e la mobilitazione. Il mondo della scuola pubblica non può rimanere inerme di fronte ad un attacco di queste dimensioni.”

Crescente senso di inadeguatezza, forte frustrazione. Al punto che esistono delle vere e proprie “patologie professionali”. Lo studio decennale “Getsemani” ha fatto emergere che la categoria degli insegnanti è quella che di più conduce verso patologie psichiatriche e inabilità al lavoro. Svolgendo una professione altamente ripetitiva e alienante, i docenti sono infatti sottoposti a diversi stress di tipo professionale. Le ultime stime, svolte su scala nazionale, indicano almeno il 3 per cento di docenti (circa 25mila) sofferenti di patologie psichiatriche croniche, a cui va aggiunto un altro 10 per cento (circa 80mila) che mostra segni palesi di stanchezza e spesso di depressione. Il medico ematologo Vittorio Lodolo D’Oria, autore di diversi studi sul “burnout”  , ha accertato che gli insegnanti stressati a causa del lavoro logorante sono il 73 per cento. Gli individui che causano loro maggior stress sul lavoro sono nell’ordine: gli studenti (26 per cento); i loro genitori (20 per cento); i colleghi (20 per cento); il dirigente scolastico (2 per cento). Il 32 per cento rimanente ritiene poi usurante la somma di tutte le relazioni.

Sempre gli questi studi decennali hanno accertato che ad essere particolarmente esposte sono le docenti, che nella scuola rappresentano complessivamente oltre l’80 per cento del corpo insegnante: sono fisiologicamente più soggette al “logorio professionale, in particolare dopo la menopausa”. Un altro dato interessante è l’anzianità di servizio media al momento della diagnosi, circa 20 anni di lavoro continuativi in cattedra. Non ci sono differenze sostanziali tra le varie zone d’Italia a conferma del fatto che non si tratta di malattie inventate ma che colpiscono tutti, indistintamente: al Nord il 37; al centro il 30 e al Sud e Isole 33. A Napoli la percentuale aumenta di poco: uno, forse due punti, percentuali. Le disagevoli condizioni economiche, sociali e ambientali rendono tutto più difficile, più sofferente. Chi non ricorda il suicidio di quell’eterno precario che l’anno scorso si ucciso a Grumo Nevano? Un atto estremo. Ma non una sofferenza isolata.

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