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La pelota casca

di Giovanni Pasàn

Era l’ultima spiaggia. L’ultima chance. La giornata dello scommettitore, nonostante si possa pensare il contrario, è dura e faticosa, stressante e complicata, per la testa e per la tasca.

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Quando si giocava la carta Sferisterio, la pelota basca napoletana, allora voleva dire che era andato tutto storto.
Nei tempi d’oro, quando vestivamo quasi alla marinara, c’erano giornate intense, intensissime. Prima c’era la visita alla Conca, nel paradiso-inferno di Agnano, la casa madre di tutte le scommesse. Giocare ai cavalli vuol dire aver studiato, ponderato, analizzato, calcolato una serie infinite di variabili, sembra facile.

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C’è chi la prende alla larga partendo dalla genealogia (padre, stallone e madre, fattrice del cavallo) per poi passare allo stato di forma, alle attitudini al terreno, allo schema di corsa preferito, al fantino (o driver se al trotto). Dietro ogni puntata c‘è un lungo studio, spesso un confronto con altri giocatori, la difficoltà della scelta, il momento della sintesi.
Sempre che non sbuchi, all’ultimo momento, col sussurro per non dare nell’occhio, la dritta dell’ultimo secondo, l’artiere di scuderia, l’amico intimo del fantino, l’informatore di professione, quella notizia che, insomma, manda all’aria tutti i ragionamenti fatti. “Guarda che vince Last…” e ti ritrovi in pochi attimi a dover decidere se tener duro sulle tue convinzioni o farti trascinare dalla voce del campo. E se sbagli, la collezione degli ipporimorsi si infoltisce, “ah se non fossi stato a sentire nessuno …” oppure “ah se avessi dato retta al suggerimento dell’ultimo momento …” il biglietto stracciato diventa ancora più amaro. E quanti se ne stracciano di biglietti …
L’ultima spiaggia dicevamo. Certi giorni finivano le corse all’ippodromo e cominciavano al cinodromo: “andiamo a rifarci coi cani …”: era l’inno della speranza. Perché quella, per chi gioca, è l’ultima a morire.

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Fuori all’ingresso di Agnano distribuivano il giornale delle corse dei levrieri e, di solito, chi aveva perso non rinunciava a tentare di rifarsi. La voglia di rivincita è sempre la più forte. Il cinodromo era accanto ad Edelandia e di fronte alla caserma dei vigili del Fuoco, era un rincorrersi di sirene, a volte non si capiva da dove provenissero i suoni. E non sempre quella lepre di pezza inseguita dagli ingenui levrieri risultava la scelta vincente. Spesso si continuava a perdere anche ai cani (o a non rifarsi della sconfitta di Agnano) ed allora siccome lo scommettitore ha due doti inscalfibili, tenacia e ottimismo, ecco che si tentava l’ultimo spiaggia: lo Sferisterio.

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Un mondo a parte, fatato, dove trovavi atleti con la pancia a darsi spesso finta battaglia, partite infuocate ma spesso combinate, ma chi se ne fregava l’importante era continuare a puntare, perché finché c’è scommessa c’è vita e c’è speranza. I protagonisti dell’ultima spiaggia si chiamavano Vito, corto e chiatto, con i capelli a spazzola, Lenci, magro, stempiato, quello che veniva considerata una delle menti delle combine, Florio, uno che giocava sempre di forza, quasi da fermo, ma con bordate spaventose, Passetto, un uomo trottola, capace, se in giornata, di andare a prendere qualsiasi tipo di palla, capace di far imbestialire chiunque, anche un imperturbabile lord inglese, e figuriamoci il parterre dello Sferisterio, dove gentleman e sir venivano da Secondigliano e dalla Sanità, da quartieri popolari insomma.

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Quelle sere di pelota, tamburrello con mazze, erano tutto uno sfogarsi ed un inveire, assumevano spesso la valenza di una seduta terapeutica. Insomma si andava a vedere quegli strani personaggi in pantaloni bianca giocare a Jai Alai, gioco allegro, che poi allegro era davvero, ma più che altro per le maleparole che si potevano indirizzare ai giocatori lì a due passi divisi soltanto da una piccola rete metallica. “Uè Vito c’hai la testa che puzza di piedi…” e il nanerottolo in campo puntualmente sbagliava. Era uno di tecnica ma troppo influenzabile. “Passetto, ma glielo vuoi dire a soreta che dove si mette lei sulla Domitiana non c’è la fermata dell’autobus..?” Era come il loggione di un teatrino d’avanspettacolo … Solo che la sceneggiata si recitava all’impronta, non c’era un copione. O, per lo meno, solo alcuni conoscevano il copione.

2playercortadaIl tripudio poi c’era quando qualcuno centrava il bersaglio grosso, quello che poggiava sulla rete, una sorta di jolly che determinava la vittoria o la sconfitta della partita. Nelle sere che c’erano i “cavallari”, si incrociavano e si confondevano, urla da stadio e da ippodromi, quasi come ad un gol, quasi come un cavallo che tagliava per primo il traguardo dopo un finale mozzafiato. Ma era entusiasmo che durava poco. Non esistevano idoli allo Sferisterio. Chi ti ha fatto vincere cinque minuti prima può farti perdere cinque minuti dopo. Ed allora si andava avanti partita per partita e riprendevano gli insulti e gli improperi.
“I cavalli non scommettono sugli uomini (e neanche io)” diceva Charles Bukowski. Ma noi non eravamo Bukowski. E scommettevamo anche su quella specie di atleti con la pancia e avanti con gli anni, tutti pelati, altro che pelota. L’irresistibile fascino della pelota basca, si trasformava nella pelota casca.., Che serate quelle serate: l’ultima spiaggia, l’ultima speranza per non tornare a casa perdenti.

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Riccardo Fogli

Ma poi, il vecchio Sferisterio, cominciò piano piano a cambiare volto, cambiavano i protagonisti, cambiò tutto. Florio, Vito, Lenci e Passetto piano piano cominciarono ad essere sempre più frequentemente sostituiti da complessi e cantanti, per feste private e serate danzanti. L’ultima spiaggia si trasformò in ricchi balli e cotillon, riflettori e luci diffuse. Addio Jai Alai, e vecchia cara sceneggiata della pelota.
Quel lontano capodanno del 1986 dovevano esserci Riccardo Fogli e Franco Califano ad inaugurare la stagione. Ma la notte di San Silvestro s’illuminò di colpo: fra fuochi e bengali, esplose il rogo dello Sferisterio. Bruciarono notti inutili ma vive, perché, ricordate?, finché c’è gioco c’è speranza… La camorra non aveva trovato l’accordo per il prezzo del biglietto.

(Un articolo sullo Sferisterio anche di Lidio Aramu)

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