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Il pallone a singhiozzo

di Gianpaolo Santoro 

 La commissione medica della federazione della Fifa ha annunciato che ci saranno i time-out durante alcune partite di Brasile 2014, al fine di contrastare gli effetti del caldo. Ci si fermerà al 30′ del primo tempo e della ripresa, “per tre o quattro minuti”. Le partite col tim-out saranno quelle che si giocheranno nel nord-est brasiliano, con inizio alle ore 13 locali (dove abitualmente si registrano 35 gradi con un’umidità dell’80 per cento. Tra questi match ci sono Italia-Costa Rica del 20 giugno a Recife e Italia-Uruguay del 24 a Natal.

 Ma che razza di calcio è questo? Sei arbitri, dodici occhi, più quello del Grande Fratello che spia, osserva, giudica ed a volte comunica come sono andate le cose, altre invece, sceglie la strada del silenzio, ed è questo un mistero ancora glorioso.

Anti-Government Demonstrators Protest Across Brazil Over Country Hosting World CupMa che razza di calcio è questo dove in campo vanno tutti per non scontentare nessuno, quelli voluti dall’allenatore, quelli che piacciono al presidente, quelli graditi ai tifosi, le panchine prima lunghe sono diventate lunghissime, l’imperativo è non avere facce storte, girano troppi soldi e troppe delusioni, meglio mettere tutti in mutande e scarpe bullonate e far assaporare l’odore del campo, così nessuno si lamenta, la panca evita la vergogna della tribuna e non fa scendere le valutazioni dei  calciatori, sono tutti titolari nella giostra del campionato.

Ma che razza di calcio è questo dove il fuorigioco una volta è fuorigioco, un’altra no, bisogna avere degli psicologi invece dei guardalinee, devono captare l’intenzione del passaggio, dove finisce la palla, se il piede e dentro, se il naso e fuori, il braccio non conta quello ci può stare, la gamba no, quella è vietata, insomma ogni volta è una tavola rotonda e poi, si sa, come vanno queste cose, gli arbitri fischiano quando vogliono e se fischiano sempre gli per stessi ormai non la chiamano neanche più sudditanza psicologica, quella era roba del passato del pallone, oggi è il calcio troppo veloce, anche per l’occhio allenato.

l'arbitro col velo

L’arbitro col velo

Ma che calcio è mai questo se ora abbiamo le donne arbitro (nelle serie inferiori e giovanili e solo guardalinee fra i professionisti) e vabbè, pari opportunità, non c’è che dire, pure a centrocampo, ma che gioco è se una ragazza figlia di marocchini, ma nata italiana, scende in campo con il velo?   L’hijab, per la precisione: capo e gambe coperte. Prima erano le giacchette nere, quelle divise austere che da sole imponevano in qualche modo rigore (inteso come disciplina …) in campo. Ma oggi? Nero, giallo, viola, azzurro, rosso sono i colori di questa stagione, più che una passerella domenicale di campioni e bidoni, sembra la passerella di una sfilata di moda, arbitri pret a porter, si fischia alla moda.Ma che calcio è questo se ogni giornata di campionato è da qui all’eternità, si comincia il venerdì e si finisce il lunedì, si gioca a puntate, sembra Beautiful, pezzi di gol di un mosaico una volta domenicale, discussioni al bar sport che hanno bisogno del riassunto delle puntate precedenti, per guardare la classifica serve un algoritmo, le emozioni spalmate in più di mezza settimana, una volta santo Dio c’era la domenica, si andava in chiesa, si compravano le pastarelle, e poi c’era solo il campionato, in novanta minuti si consumava il più grande rito pagano che si sia conosciuto dal Manzanarre al Reno, alla faccia delle cambiali, delle rete da pagare, del mutuo e del rosso fisso in banca.

Caldo-e-afa-rischi-cuoreMa che calcio è questo, se ora hanno inventato pure i tim out, giochiamo a pallone col singhiozzo, dopo ogni mezzora ci si ferma, con l’allenatore che parla e tutti ad ascoltare e refrigerarsi, magari anche il tempo di una chiamata con lo Smartphone, siamo alle soste concordate, come il basket o la pallavolo, gli sport dove si gioca con le mani, ormai non c’è più religione, non c’è più rispetto, l’omologazione è imperante: il pallone rotola, rotola sempre più in basso.

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Genny ‘a carogna

Ma che calcio è questo se per giocare la finale di Coppa Italia si chiede il permesso a Genni ‘a carogna, venditore di droga e paladino dell’onore partenopeo, vendicatore delle Curve e dove nella follia totale anche al sangue viene distribuita una maglia? Che calcio è se il tifo ultras viene data dignità sportiva e civile, se ci si indegna perché un delinquente ha sparato (orrore, sia chiaro…) ma si fa finta di niente di ragazzi che vanno allo stadio con passamontagna e mazze da baseball, vestiti e armati da gladiatori, altro che tifosi….

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Gianni Brera

  Chissà che cosa avrebbe detto, Gioanbrerafucarlo, padano di riva e di golena, di boschi e di sabbioni, figlio legittimo del Po, il più grande cantore di calcio che l’Italia abbia mai avuto. Chissà cosa avrebbe detto Gianni Brera di questo calcio marcio che non merita più difese d’ufficio o stupide attenuanti che nel nome di petroldollari ha ripudiato ogni tradizione, ogni radice con una Fifa che organizza un campionato del mondo in Brasile e poi scopre che fa caldo e se si gioca alle tredici il sole picchia di brutto e rischi una insolazione. Scandalo al sole. Così come, magari, ci si poteva interrogare prima sui probabili 50 gradi di temperatura con tassi di umidità da record e possibili tempeste di sabbia del Qatar dove si disputerà l’edizione del 2022 ed allora invece di prendere in esame l’ipotesi di mondiali da disputare in inverno (sconvolgendo tutto il calendario calcistico, la Champions League) sarebbe meglio che a certi livelli si rendesse conto che a calcio non si può giocare indifferentemente ad ogni latitudine o longitudine.

Certo Brera in questo calcio geopolitico e televisivo, di immagine e petroldollari, non l’avrebbe capito e di certo condiviso. A cominciare dall’ultimo mondiale, quello di quattro anni fa in Sudafrica la terra degli Zulù, dove l’unica vera palla è quella ovale (due titoli mondiali nel rugby) e non oso nemmeno immaginare che cosa avrebbe pensato delle vuvuzelas (fare vuvù in lingua zulù), o se volete Lepatata (in lingua tswana), quelle maledette trombette ad aria che sono state l’irritante e asfissiante colonna sonora di tutte le partite.

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Ma che calcio ormai è questo se il Brasile è in rivolta per il Mundial, chissenefrega del calcio con i problemi che ha il Paese, fame, lavoro, povertà, se la favelas scendono in piazza contro il loro cuore, se gli indios invadano le città, se Paulo Coelho, è diventato il portavoce della rivolta contro sperpero di risorse destinate al Mondiale anziché al miglioramento del sistema educativo e sanitario e tutto il resto che non funziona, come niente funziona in questo maledetto mondo globalizzato. Un gol non basta più…

Profanato, imbarbarito, trasformato, violentato il vecchio caro football ormai non è più lo stesso. Stanno facendo di tutto per sciupare la favola di Brasile 2014, che deve essere la voglia di rivalsa di un paese contro la sua storia, come non si può non pensare, infatti, a quello che successe in quel nero e maledetto luglio del 1950, quando un intero Paese pianse a dirotto per colpa di Obdulio Varela ed una masnada di “farabutti” uruguaiani che misero in ginocchio la nazionale verdeoro, che credeva di aver già vinto il mondiale quasi per indicazione divina, oltre perché erano i più bravi, i più forti e perché giocavano in casa, davanti alla loro torcida che per quella fatidica giornata, aveva preparata la più grande manifestazione popolare della storia brasiliana. Orchestre, gruppi di samba, ballerini vestiti nelle fogge multicolori del carnevale, erano stati convogliati nell’immensa arena: coriandoli, stelle filanti, fuochi d’artificio petardi, razzi, mortaretti, erano pronti per essere immolati al fischio finale che indubbiamente avrebbe sancito il trionfo del Brasile, “campeão do mundo”.

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L’Uruguay campione del mondo 1950

Undici vetture di grossa cilindrata, stracolme di fiori e di belle ragazze erano in attesa vicino agli spogliatoi, per accogliere ognuna un eroe della grande conquista; portavano il nome stampato sulla fiancata: Barbos, Danilo, Friaca, Zizinho, Ademir, Chico… Siamo seri che cosa poteva mai fermare quella gioiosa macchina da guerra fatta di samba e pallone? Sappiamo,invece, come andò a finire, il Brasile in lacrime per giorni e giorni, un lutto nazionale con l’Uruguay che pur in svantaggio nel secondo tempo mise in ginocchio la nazionale brasiliana.

Obdulio Varela

Obdulio Varela

 

E la leggenda vuole che Varela il giorno del mondiale fece il giro dei bar di Rio a bere birra abbracciato agli sconfitti. Nessuno lo riconobbe, per la verità. Invece di festeggiare la vittoria andò a condividere il dolore della sconfitta con i carioca. Poi, prese un volo con gli uruguagi campioni del mondo e tornò in patria dove venne accolto da eroe. Eduardo Galeano ha raccontato la singolare scelta di Varela affinché diventasse leggenda, vincitori e vinti si mischiano e si confondono, l’essenza dello sport. Ma quello era ancora calcio.

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