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La banca delle Marche
Anzi delle Marchette

di Alberto Toro

Il conto in rosso? No il conto rosso. Anzi il conto rosso in rosso. Se i nodi vengono al pettine, i bilanci vanno a puttane: e guarda caso sotto processo c’è quel complesso sistema politico-finanziario-bancario che da sempre orbita intorno al Pci poi piano piano trasformatosi in Pd.

L’ultimo emblematico caso è quello della  Banca delle Marche, che niente di meno che rappresenta, come scrivono gli avvocati dell’Istituto nell’atto di citazione in giudizio “il maggiore disastro bancario verificatosi in Italia dopo quelli risalenti al secolo scorso dei casi Sindona e Calvi”. L’atto di citazione in giudizio per 282,5 milioni di euro di danni presentato al tribunale di Ancona  è contro gli ex amministratori (tra cui l’ex direttore generale Massimo Bianconi e gli ex presidenti Michele Ambrosini e Lauro Costa) e l’ex società di revisione Price Waterhouse Coopers.

Più che una banca, un bancomat. Ovviamente per gli amici degli amici, ci mancherebbe. Pensate ben 83 delibere di finanziamento approvate dal Consiglio d’Amministrazione a luglio del 2008 in meno di cinque minuti, mentre l’anno dopo il Comitato esecutivo di minuti ne ha impiegati venti per approvare altri 78 finanziamenti a clienti “di riguardo”. Insomma la banca dei sogni, chi non aprirebbe un conto alla Banca delle Marche, cioè meglio delle Marchette.

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Si concedano finanziamenti e la Banca era sull’orlo del collasso,  l’istituto continuava ad accumulare perdite su perdite (l’ultimo dato ufficiale parla di un rosso di 528 milioni). In commissariamento da due anni, la banca vive la sua eutanasia, mancano all’appello gli investitori per la ricapitalizzazione (salita nel frattempo a circa un miliardo). Subito dopo l’estate sarà l’ora della verità, scade il commissariamento e allora…

M

 

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Ma non pensate che sia un caso isolato. Nel cuore rosso da sempre della politica italiana, il centro Italia, è tutto un esplodere di casi, ruberie, bilanci taroccati. Dal Monte dei Paschi alla Popolare di Spoleto e a quella dell’Etruria, passando per la Tercas di Teramo e la Cassa di Risparmio di Ferrara: un pasticciaccio che fotografa un vero e proprio sistema il filo rosso che unisce    il credito e la politica locale, spesso con la copertura delle Fondazioni, un gigantesco imbroglio fatto di facilitazioni agli amici degli amici, gestioni clientelari che si sono sempre tradotte in voti e consensi.

Un esempio per tutti, il Monte Paschi di Siena, uno scandalo nonostante tutto, passato in second’ordine, sui media e nel dibattito politico. A Siena, dove i rapporti incestuosi fra politica e finanza sono emersi con l’inchiesta Antonveneta, il Monte è reduce dall’ultimo aumento di capitale da 3 miliardi – il quarto in sei anni dopo i 7 miliardi raccolti tra il 2011 e il 2014 – in attesa di chissà cosa. Del resto secondo i test della Bce il Monte dei Paschi di Siena  è la banca più inguaiata del panorama italiano eppure è rimasta, nonostante tutto, sotto il controllo assoluto della  Fondazione fino a pochi mesi fa.

 

 

 

 

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