di Tonino Ferro
Dallas è una città simbolo, è la città dell’omicidio di John Fitzgerald Kennedy. Ora Dallas è anche la presa di coscienza della riesplosa questione razziale. Una manifestazione, slogan, canti, un corteo: nella notte di giovedì il popolo nero protestava contro gli ultimi gravi abusi della polizia nei confronti dei neri. Improvvisamente gli spari di un fucile di precisione, abbattuti undici agenti di polizia, di cui cinque morti all’istante. C’era un vendicatore degli afroamericani, Micah Xavier Johnson
Perciò, lui – questo soldato che ha servito l’America per due anni in Afganistan – esce pazzo e fa fuoco contro sbirri bianchi, evidentemente presi a caso, accoppandone cinque.
Il giovane organizza la sua folle guerra per combattere un attualissimo problema statunitense, attualissimo e vecchio cent’anni, cantato da tutti, raccontato in decine di libri, proiettato in mille film: la goduria che provano le divise di Stato laggiù a far fuori i negri.
Come risponde lo Stato a stelle e strisce, nel 2016? Individua l’assassino, ormai rinchiuso in un garage; gli fa sputare la ragione per cui ha commesso la sua scelleratezza e poi, anziché arrestarlo, processarlo, eccetera eccetera, lo accoppa. Punto. Affidando peraltro la missione a un robot, così nessuno può chiedersi di che colore è quello che ha lanciato la bomba. Per questo, mi fa pena anche lui. E non ci posso fare niente