di Corrado Ocone
Un brivido di paura e di tensione, New York è come in stato d’assedio. Centocinquanta capi di stato e di governo per la 71° Assemblea Generale delle Nazioni Unite, un vertice accompagnato da bombe, pacchi esplosivi, paura ed attentati. Un lungo fine settimana di terrore, rivendicazioni e misteri. Un vertice storico perché la prima volta l’Onu si riunisce per discutere sul tema delle migrazioni. Un vertice dove l’Isis ha voluto, a modo suo, far sentire la sua voce e rilanciare la propria concezione della vita che fa capo ad un’ideologia di morte. Ma c’è chi non la vede così…
Dovevamo aspettarcelo che, pur di non guardare in faccia alla realtà, che ci dice con chiarezza che i terroristi fanno capo a un’ideologia di morte di tipo religioso-politico, che è anche una (efferata) concezione della vita, prima o poi sarebbe risbucata dagli impolverati armadi della storia la fatidica tesi marxista che è sempre e solo colpa della società.
Anzi, per essere più precisi, della struttura economica capitalistica che domina il mondo. È la “questione sociale”, bellezza! Ed è quindi colpa, sotto sotto, di noi occidentali, che siamo i patrocinatori ultimi di questo sistema perverso basato sul denaro, cioè sul Dio Mammona, che giustamente gli islamici aborrono?
Il sistema, dicevano i vecchi marxisti, non si riforma, si abbatte. E, pur di raggiungere lo scopo, erano disposti a tutto, proprio come i terroristi: per fare una buona frittata (che in effetti non si è mai fatta), bisogna rompere molte uova e non andare troppo per il sottile diceva Stalin.
L’islam, in questo senso, non è che la forma moderna, o se si preferisce postmoderna, che assume la lotta di classe globale fra sfruttati e sfruttatori, fra capitalisti e rivoluzionari, fra ricchi e poveri.
E vaglielo poi a spiegare a costoro che molti jihadisti non se la passano niente male, figlio della ricca borghesia e perfettamente integrati nel sistema della finanza globale: nell’ideologia conta non la realtà, ma ciò che simbolicamente ognuno rappresenta nell’ordine di idee che ci è precostituiti. Chi, se non i filosofi, potevano promuovere questo passaggio dall’islamismo come questione psichiatrica (era la tesi fino ad oggi dominante) all’islamismo come questione sociale? I filosofi, come ebbe a dirmi una volta un noto opinionista italiano, hanno il “dovere cetuale dell’anticapitalismo“: un modo di riconoscersi e di essere riconosciuti, non avendo più ormai un ruolo sociale evidente o ben definito.
Non si spiegherebbe altrimenti il “successo” di pensatori arcaici e confusi, di nessuna originalità teorica, come gli Agamben, i Tronti, i Cacciari. Il Partito non esiste più, ma è sempre una certa Stimmung (perdonatemi: faccio il filosofo anche io!) anticapitalista che detta il tono. A dar man forte alla tesi dell’eterno anticapitalismo dei filosofi è stato, fra gli altri, l’eccentrico (e anche contraddittorio) pensatore tedesco Peter Sloterdijk.
Già nel 2006, nel libro Ira e tempo, come ci ha ricordato in un articolo pieno di entusiasmo Pietrangelo Buttafuoco su Il Fatto (i nemici della modernità e del capitalismo, siano di destra o di sinistra, alla fine si incontrano sempre e si danno la mano!).
L’islamismo come un surrogato del vecchio comunismo, una nuova internazionale della protesta (Sloterdijk, col suo stile furbo e immaginifico, parla di “banca mondiale della dissidenza”)? Come dimenticare che già Roger Garaudy, uno dei massimi filosofi marxisti francesi del secolo scorso, alla fine della vita aveva abbandonato il comunismo e si era convertito all’islam, folgorato (come d’altronde Michel Foucault) dall’antioccidentalismo dell’ayatollah Komeini?
E pazienza poi se con le libertà occidentali cadevano già allora non poche teste, non solo metaforicamente. Su una cosa però i filosofi, cultori dell’Uno, non si sbagliano: che sia comunismo o islamismo lo Stato finale a cui essi anelano è sempre una “società chiusa“, “conciliata”, “comunitaria”.
Una società che non conosce le libertà individuali e nemmeno la vitale bellezza di un mondo contraddittorio e imperfetto come il nostro, l’unico in cui può svilupparsi lo spirito dell’umanità. Seguire i filosofi che vogliono farsi re o consiglieri del re? No, grazie: abbiamo già dato.
Non ho ancora sentito di migranti verso Dubai. Parlo di Dubai perché ci sono stata. Avendo soldi cosa sono stati capaci di tirate fuori? Una città che più kitch non si può. Visto che siamo i soliti capitalisti sfruttatori perché non offrono migliori condizioni di vita ai poveri lavoratori stranieri che stanno letteralmente costruendo una cattedrale nel deserto? Visto che non sappiano offrire un’adeguata accoglienza ai migranti perché non li accolgono loro?