di Giovanni Pasàn
E’ finita con l’impeachment la incredibile storia di Dilma Roussef, la prima donna a diventare capo dello Stato in Brasile, la pupilla di Lula. Militante universitaria, guerrigliera clandestina processata e incarcerata durante la dittatura, ministra statale, ministra federale e infine presidente. La Lady di ferro del Sudamerica, viene mandata a casa senza l’onore delle armi. E così Michel Miguel Elias Temer, 76 anni, avvocato, massone è il trentaseiesimo presidente del Brasile
Superando la necessaria maggioranza dei due terzi, il Senato ha approvato ( e lo stesso aveva già fatto la Camera 367 si contro 137 no) con 61 sì e 20 no, l’ impeachment definitivo con l’ accusa di aver violato la legge che regola gli stanziamenti dei bilanci governativi.
Ma sullo sfondo c’è la clamorosa inchiesta lava jato (autolavaggio) su una gigantesca rete di corruzione e di tangenti tra la Petrobras e la classe politica brasiliana, tra cui molti dirigenti del Partito dei lavoratori, al governo.
C’è una immagine di Dilma che ha fatto il giro del mondo, quando era conosciuta con il nome di Estela, quando militava in un’organizzazione rivoluzionaria e il disegno politico era un libretto, non di Mao, ma di Jules Règis Debray, chiamato “la rivoluzione nella rivoluzione” dove si propugnava la lotta armata di un piccolo gruppo di guerriglieri per innescare la scintilla contro il potere militare.
La foto di cui parliamo, venne scattata nel 1970 all’interno del dipartimento di ordine politico e sociale, subito dopo il suo arresto. La Rousseff ha i capelli corti e ricci e un paio di occhiali con una montatura di plastica nera e lenti spesse, oggi sarebbe irriconoscibile. In mano ha un cartello con il numero 3023. Fu l’inizio della permanenza di Rousseff nelle carceri brasiliane: due anni e dieci mesi di tortura.
Una esperienza che la futura presidentessa ha raccontato al giornalista Luiz Maklouf Carvalho, una intervista memorabile. “C’era la palmatória, una specie di racchetta di legno con il manico lungo che serviva per colpire e stordirti. Poi mi chiedevano di togliermi i vestiti e mi mettevano nel pau de arara, una barra di ferro a cui venivo legata per i polsi e per le ginocchia. Poi la barra era sistemata tra due tavoli per farmi pendere a un palmo da terra. C’era anche la cadeira do dragão, la sedia elettrica. Mi colpivano con le scariche elettriche ovunque: piedi, mani, interno cosce e orecchie. Sulla testa era terribile. Anche sui capezzoli. Era impossibile trattenere l’urina e le feci. I primi giorni ero esausta, svenivo perché non resistevo a tutte quelle scariche. Avevo emorragie. Quando mi lasciavano in pace tremavo di freddo, perché ero nuda. E poi ricominciavano”.
La sua posizione di delfina di Lula venne sancita, con un altro scandalo il caso mensalão, il primo grande scandalo di corruzione dell’era Lula (i deputati di altri partiti avevano ricevuto pagamenti mensili in cambio di voti a sostegno del governo). Molti parlamentari del Pt erano stati coinvolti, ma Rousseff ne era uscita rafforzata e aveva preso il posto dell’allora capo di gabinetto José Dirceu, che si era dimesso a causa dello scandalo. Era il giugno del 2005 e Rousseff sarebbe rimasta in carica fino alla fine del secondo mandato di Lula, nel 2010.
Quando dovette affrontare la campagna elettorale presidenziale la Rousseff si sottopose ad alcuni interventi chirurgici: si operò agli occhi e fece un lifting per ridurre le rughe e le occhiaie. Ma prima della battaglia elettorale nell’aprile del 2009 dovette affrontare un’altra battaglia, era stata ricoverata per farsi togliere un nodulo di due centimetri. La Rousseff si presentò in tv all’ora di punta, sul canale Rede Globo. “Affronto questa malattia per uscirne più forte”, aveva dichiarato. E così aveva fatto, senza nascondere la chemioterapia, la caduta dei capelli, la parrucca e il gonfiore provocato dai farmaci.
Una donna dalle mille facce. Caduta più volte si è sempre rialzata. Anche questa volta potrebbe avvenire. Seconda la legge brasiliana, in caso di stato d’ accusa per il capo dello Stato, si è esclusi da ogni ufficio pubblico per otto anni, non potendo candidarsi, ma solo se i senatori votano per due terzi questo allontanamento in una votazione specifica. Cosa che per la Rousseff non è avvenuta.