pencho_naufragiozxxxxxxxxxxx

La leggenda del Pentcho

di Nico Pirozzi

È una di quelle storie che emerge dalle nebbie di un passato incredibilmente dimenticato (ma meglio sarebbe dire, rimosso). Un episodio di altruismo e di ardimento che l’Italia ha ignorato per tre quarti di secolo. E che – paradossi della storia – il Capo dello Stato slovacco, , ha ricordato proprio in Italia, a Roma, riservando a Carlo Orlandi, capo di Prima classe della Regia Marina Italiana, quegli onori che il suo Paese non gli ha mai tributato: la medaglia del Presidente della Repubblica. Una delle massime onorificenze che il Paese Carpatico concede a personalità che si sono particolarmente distinte per atti di abnegazione e coraggio

pentcho_naufraghi-a-kamilanisi

I naufraghi del Pentcho a Kamilanisi

È questa l’inattesa conclusione (per adesso) di una vicenda venuta alla luce nello scorso mese di gennaio, in concomitanza con la settimana che, anche l’Italia, riserva al ricordo della Shoah.

Erano infatti tutte ebree le persone che, nella notte tra il 21 e 22 ottobre 1940, furono tratti in salvo proprio da Carlo Orlandi, all’epoca dei fatti comandante della “Camogli”, una piccola nave da trasporto di base a Rodi, spedita fino allo sperduto isolotto di Kamilanisi per portare loro soccorso.

carloorlandi2

Carlo Orlandi

Lì, su quello che era poco più di uno scoglio battuto dalle onde e dal vento, nel bel mezzo del mar Egeo, dieci giorni prima era naufragato il “Pentcho”, un vecchio e malandato battello fluviale a ruota partito dal porto di Bratislava, sul Danubio, cinque mesi prima. A bordo di quel natante, che chi lo vide lo descrive a metà strada tra un trabiccolo di legno marcio e un mostro marino, erano saliti in più di cinquecento. In maggioranza giovani appartenenti all’organizzazione sionista “Betar”, in fuga dalle persecuzioni naziste e dall’ondata antisemita che stava travolgendo l’Europa.

Con pochi viveri e scarse riserve d’acqua, senza carte nautiche e al timone un ex ufficiale della marina zarista morfinomane ed alcolizzato avevano ridisceso il Danubio attraversando ben cinque Stati (Slovacchia, Ungheria, Jugoslavia, Bulgaria e Romania), per poi sfociare nel mar Nero e, dopo aver attraversato lo Stretto dei Dardanelli, sbucare nell’Egeo. Del “Pentcho”, del suo incredibile viaggio che avrebbe dovuto avere come capolinea la Palestina, si sa tutto, grazie anche alla gran mole di documenti arrivati fino a noi. Assai meno si conosceva invece di Carlo Orlandi, il comandante del “Camogli”.

1nico-pirozzi

Nico Pirozzi

Nato a Pesaro nel settembre 1888, aveva intrapreso la carriera militare giovanissimo. Come molte persone della sua generazione di guerre ne aveva viste e combattute più di una. Ma a Napoli aveva dovuto arrendersi. Non al nemico ma agli occhi di Giulia Di Chiara, nipote del più famoso Vincenzo, l’autore della celeberrima “La spagnola”. La città del Vesuvio divenne così il suo nuovo approdo. E tale resterà fino alla fine dei suoi giorni: il 26 gennaio 1970.

Di quella incredibile notte, vissuta in uno specchio di mare infestato di mine e con il rischio costante di finire nel mirino di un cannone o un siluro inglese, Carlo Orlandi non aveva dimenticato niente: né le imprecazioni dell’equipaggio, preoccupato per quel viaggio di ritorno fatto a luci spente, né gli attestati di riconoscenza ricevuti in idiomi a lui sconosciuti, da chi si era quasi rassegnato a finire i propri giorni su quel lembo di terra dimenticato da Dio e dagli uomini.

pencho2zzzzzzzzzzzzzz

Il Pentcho

Quei volti strappati a una morte terribile gli fecero compagnia anche durante la detenzione nello Stalag 366 (un lager polacco riservato ai prigionieri di guerra russi e ai militari italiani che si erano rifiutati di aderire alla Rsi) e nel più famoso campo di concentramento di Dachau.

Di loro, di quegli sconosciuti che non aveva più rivisto né sentito, parlava spesso alla figlia Assunta e ai nipoti. Anche se loro, i naufraghi del “Pentcho”, non avevano certo dimenticato l’uomo che li aveva salvati.

gruppo

Un incontro atteso da quasi 80 anni: Giulia Kowalczyk (seconda da sinistra) con al suo fianco Mira Wulkan-Levington e la nipote Liel. Primo sulla destra è, invece, Antonio Kowalczyk, nipote del comandate del “Camogli”

La storia è tornata a ricomporsi molti decenni più tardi. Quando, grazie anche alla tenacia di Gianfranco Moscati, un collezionista di reperti della Shoah, e alla buona memoria di Mario Rende, un professore di anatomia umana dell’Università di Perugia, stregato dall’incredibile storia del “Pentcho”, è stato possibile rintracciare i due nipoti di Carlo Orlandi: Giulia e Antonio Kowalczyk, che a dispetto del loro cognome (il padre era un capitano dell’esercito polacco che aveva combattuto in Italia agli ordini del generale Wladyslaw  Anders) sono napoletani.

A differenza di altri, Giulia e Antonio, la memoria del nonno l’avevano custodita gelosamente, convinti che prima o poi qualcuno si sarebbe ricordato del comandante del “Camogli”. Così, quella che all’apparenza, sembrava una Mission impossible, ha avuto un inatteso epilogo. È accaduto pochi giorni fa, nell’ex campo di internamento, oggi museo, di Ferramonti di Tarsia, la località della Calabria dove furono trasferiti quasi tutti i naufraghi del “Pentcho”.

carloorlandi

Carlo Orlandi

Qui, grazie anche al paziente lavoro di ricerca condotto da Simona Celiberti, che il Comune di Tarsia ha nominato ambasciatrice della memoria del campo, si sono dati appuntamento Giulia e Antonio, da un lato, e Mira, la figlia di Jaakov Wulkan e Berta Rosenman (due dei naufraghi), dall’altro.

Con Mira, appositamente giunta da Tel Aviv, c’era anche il figlio Ron Levington e la nipotina Liel. Tre generazioni che non avrebbero mai visto la luce se quella notte di ottobre Carlo Orlandi non avesse – malgrado tutto e tutti – dato l’ordine di mettere in mare le scialuppe e trarre tutti a bordo.

andrej_kiska_senate_of_poland

Andrej Kiska

Per quest’uomo dallo sguardo mite e dal cuore grande, a cui la vita riservò più delusioni che gioie (un figlio poco più che ventenne trucidato per rappresaglia dai nazisti), è arrivato, come detto, il riconoscimento del Presidente della Repubblica della Slovacchia, essendo la metà dei passeggeri dell’imbarcazione originari del paese carpatico.

All’appello manca adesso solo l’Italia, dal momento che in Israele un anziano naufrago del “Pentcho” (Haim Farkash) e un gruppo di figli e nipoti di persone salvate da Orlandi (Mira Wulkan-Levington, Dina Smadar ed Eva Porcilan) si stanno adoperando per far attribuire al comandante del “Camogli” il più atteso tra i riconoscimenti. Quello di Giusto tra le Nazioni.

 

 

 

 

CondividiShare on Facebook0Tweet about this on TwitterPin on Pinterest0Share on Google+0Share on LinkedIn0Email this to someone

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>

Altri post dello stesso Autore