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Uno strano concetto di libertà

di Corrado Ocone

Non sono buone notizie quelle che giungono dalla Germania e da Napoli, ove giudici diversi hanno, per diversi motivi, chiamato in giudizio la società di Mark Zuckerberg per non avere rimosso immediatamente, senza attendere l’intervento dell’autorità giudiziaria, alcuni post pubblicati dagli utenti. Si trattava di contenuti istiganti, nel primo caso, all’odio razziale, e nel secondo caso, di contenuti offensivi di una persona che si è poi tolta la vita

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Ho sempre pensato che gli ultimi trent’anni siano stati un’età di progressi incredibili per la specie umana. E che solo una illusione prospettica ci fa parlare di crisi o decadenza, o di un rallentamento del ciclo. Si è trattato, in primo luogo, di progressi nell’informazione e nella comunicazione, cioè in ciò che l’uomo ha di più proprio e che più lo distingue dalle altre specie animali. Qualcosa che è intimamente legato alla libertà di pensiero e espressione, e quindi alla libertà senz’altro.

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Corrado Ocone

Certo, dietro una macchina potente come Facebook, ad esempio, c’è il genio e l’inventiva di una singola persona, ma non si può dimenticare però che il più grande network sociale si è anche sviluppato per virtù propria, in modo non eterodiretto o peggio pianificato. È cresciuto quasi come elemento concreto e palpabile di quel meccanismo, fatto di correzioni e adattamenti, che i teorici del liberalismo hanno indicato come “ordine spontaneo”. Il fatto che gli Stati, i governi, la politica se ne siano tenuti fuori, e così anche l’ordine giudiziario, il fatto cioè che esso abbia rappresentato quasi un’oasi felice per le nostre esistenze sempre più irregimentate, non ha fatto altro che mostrare, in definitiva, le possibilità intrinseche alla libertà umana quando non sia imbrigliata o castrata da regolatori e “correttori” sempre più o meno interessati.

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Non sono perciò buone notizie quelle che giungono dalla Germania e da Napoli, ove giudici diversi hanno, per diversi motivi, chiamato in giudizio la società di Mark Zuckerberg per non avere rimosso immediatamente, senza attendere l’intervento dell’autorità giudiziaria, alcuni post pubblicati dagli utenti. Si trattava di contenuti istiganti, nel primo caso, all’odio razziale, e nel secondo caso, di contenuti offensivi di una persona che si è poi tolta la vita.

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Ora, a parte la pericolosità di affidare a una società di privati e non all’autorità pubblica il cosiddetto “controllo della legalità“, soprattutto quando questo va a incidere con la libertà fondamentale di espressione che tocca a ogni essere umano; ora, a parte questo, quello che ci sembra sintomatico è che, richiamandosi a nobili e condivisibili principi, le due sentenze sembrano invocare i legislatori, anche politici, a regolare dall’alto la comunicazione e ad esercitare un controllo e una censura su tutto quel che si dice.

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Sarebbe la fine per Facebook, per gli altri network, e in genere per tutto quanto di bello e libero abbiamo sperimentato in questi anni grazie alla rete. Il fatto è che, dietro questa mentalità regolistica che ogni tanto affiora. c’è uno spregio della libertà e responsabilità umane. Certo, la libertà fa correre dei rischi e molti individui non la esercitano con responsabilità ma a discapito degli altri. E’ a loro che è imputabile la colpa, che è sempre individuale,  non certo a chi la loro libertà permette di esercitarla, o caso mai a un’entità astratta come “le multinazionali“.

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Il meccanismo della sanzione sociale, se funziona, prima, e quello della sanzione penale, poi, dovrebbero essere di per se più che sufficienti a regolare ogni misfatto, che è sempre dietro l’angolo e che è insito non nel web ma nella vita umana. Ogni passo ulteriore, anche se ben intenzionato, è un passo verso la “società chiusa” e il controllo statale sulla nostra libertà. La libertà di tutti noi, cioè anche della stragrande maggioranza delle persone che la usa con la dovuta responsabilità. Anche se non vorremmo che alla fine, dietro questa esplicita richiesta di censura, ci fosse anche il solito pregiudizio contro il mercato e il capitalismo: mercato e concorrenza di idee, in questo caso, ma pur sempre elemento detestabile per chi non concepisce che possa esistere altro se non la sua verità.

 

 

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