di Iolanda Siracusano
Francesco Gabbani, metà uomo e metà scimmia ha vinto con “Occidentali’s Karma” la 67esima edizione del Festival di Sanremo. Sul podio salgono anche Fiorella Mannoia con “Che sia benedetta”, secondo posto, ed Ermal Meta con “Vietato Morire”, terzo posto. Il Premio della Critica va ad Ermal Meta, mentre a Fiorella Mannoia il Premio Sala Stampa “Lucio Dalla” e Miglior Testo. Ad Albano è andato il meritatissimo Premio per l’arrangiamento.
Finisce così, con qualche piacevole sorpresa, un Festival che solo nell’ultima serata è riuscito a dare il meglio di sé, con Carlo Conti e Maria De Filippi finalmente rilassati e ospiti italiani di prim’ordine come Zucchero, Geppi Cucciari, Enrico Montesano, Rita Pavone versione Tina Turner e Crozza versione Razzi. E soprattutto con un podio che vede premiati tre canzoni che meritavano di vincere. Uno sprazzo, improvviso, insomma, in una settimana di noia. L’anno prossimo ri potrebbe ripartire dalla fine.
Sanremo è il festival della canzone italiana e deve essere la festa della nostra musica, della nostra melodia. Dopo gli effetti speciali i nani e le ballerine, ci auguriamo che il prossimo Sanremo lasci un po’ più di spazio alla musica: ai cantautori, tanto per cominciare, a chi la musica la fa per passione, ma seriamente, studiando e imparando dai grandi… e non per andare l’anno dopo al Grande Fratello e all’Isola dei Famosi, credendo si essere entrati nella storia della musica per una partecipazione a Sanremo; a chi ha una voce che porta una ventata di novità nello stantio panorama della musica italiana; a chi ha il coraggio di sperimentare nuovi generi, mischiando sonorità e lasciandosi contaminare in maniera originale dalla musica di “altri mondi” e altre culture, anche lontane, come diceva Lucio Dalla, “dall’altra parte della luna” (“…ma l’America è lontana, dall’altra parte della luna”- Anna e Marco, 1979).
Sanremo non può insomma trasformarsi come si è trasformato nella finalissima dei tanti talent show che impazzano in tv tutto l’anno, trasmissioni che hanno sicuramente una loro funzione positiva, ma che non possono monopolizzare anche il palco sul quale gli italiani vogliono ascoltare anche chi ha già scritto pagine importanti della canzone, artisti mai troppo vecchi, da cui i giovani hanno solo da imparare. Più che talent show, Sanremo facesse talent scouting: scovi talenti anche dove la musica si fa senza far rumore, lontano dalle telecamere e dai defilè.
Non a tutti piace vivere sotto i riflettori e non è detto che in qualche garage non ci siano ragazzi che provano ogni sabato sera, invece di andare in discoteca.
Chi scrive di questi ragazzi ne conosce tanti. Ragazzi che ad un talent non parteciperebbero mai per una questione di privacy e stile di vita, diciamo così, meno mondano, ma che di canzoni, di poesia e di musica ne sfornano in quantità industriale, per poi decidere di fare il medico o l’ingegnere, perché tanto il mondo della musica è inaccessibile.
Dare spazio ai giovani va bene, insomma, ma che siano anche giovani che studiano nei Conservatori, nei Licei e nei luoghi dove la musica non è solo spettacolo e spettacolarizzazione, sfide, competizione e televoto, ma anche arte e artigianato, ricerca costante, collaborazione e condivisone.