Corteo Macerata

La marcia su Roma
Il marcio su Macerata

di Gerardo Verolino

Un matto comincia a sparare a casaccio su degli uomini di colore per “vendicare”, nel suo distorto modo di vedere, la barbara uccisione di una ragazzina per mano di un nigeriano. Immediatamente le organizzazioni della sinistra più estrema decidono di organizzare una manifestazione “anti-razzista” nella località, Macerata, ma anche in altre città d’Italia, dove sono accaduti i due terribili fatti di cronaca chiamando a raccolta le forze “sane e democratiche” della nazione.

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Un corteo anti-razzista e anti-fascista? Ma contro quali razzisti e quali fascisti? Tutt’al più contro un razzista e, semmai, un simpatizzante del fascismo qual è il folle che ha cominciato a sparare in modo indistinto contro i neri.

Possiamo onestamente dire che di un mezzo matto che afferra una pistola e comincia a far fuoco contro le persone che incontra per strada solo perché ricoperti di pelle nera così da “vendicare” in qualche modo il martirio della ragazzina conti la sua fede politica o non piuttosto il suo quadro clinico?

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Luca Traini, lo sparatore folle di Macerata

_0180210192341-25659660Il caso sembra chiaro. Eppure i telegiornali, per giorni, hanno indugiato sulle sue simpatie politiche, peraltro confuse. Ci hanno mostrato i libri che aveva in casa , i simboli fascisti che custodiva e tra l’altro il fatto che possedesse una copia del “Mein-Kampf” di Adolf Hitler. E con ciò? In una mente malata anche le letture dei fratelli Grimm possono essere disturbanti e provocare reazioni inconsulte. Ma, pur ammettendo che il killer solitario non sia affetto da un conclamato disturbo psichico (difficile a credersi) ma sia solo un esaltato fanatico con tendenze violente si tratta pur sempre di un individuo che ha agito, in modo inconsulto, da solo, senza godere dei mezzi di una struttura paramilitare alle spalle che lo abbia supportato.

Gerardo Verolino

Gerardo Verolino

Dietro di lui non risulta che operi un’organizzazione sovversiva che punti a stravolgere le regole dello Stato democratico colpendolo nelle sue fondamenta liberali. Non c’è neppure una Loggia massonica deviata. O un qualsivoglia generale golpista a cui sia venuto l’uzzolo di organizzare un colpo di Stato. Dietro il pazzo non c’è neppure un Grande Vecchio. Non c’è proprio nessuno.

Accusare, come fanno alcuni esponenti di sinistra, Salvini, di essere il mandante morale del pistolero non solo è avventato ma pure scorretto. La polemica politica in Italia si nutre, da sempre, di parole, anche forti alle quali lo stesso leader della Lega Nord non si sottrae facendone ricorso come lo fanno un po’ tutti gli altri esponenti politici.

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Beppe Grillo gerarca, parodia del web

A cominciare dal signor Vaffa, il principe del turpiloquio in persona, Beppe Grillo al quale, addirittura, in una recente intervista, un uomo tutto d’un pezzo, il padre di Di Battista, ha imputato di aver tradito i principi su cui si fondava il Movimento che nella sua nascita avrebbe dovuto “aprire l’Italia come una scatola di tonno”. Parole pesanti.

Ma gli italiani si sa, ormai, ci hanno fatto l’abitudine e sanno che l’iperbole di cui spesso fa uso il mondo politico non è da prendersi sul serio. Altrimenti avremmo già avuto una mezza dozzina di rivolte in settant’anni di storia. È da quando esiste la repubblica che sentiamo sempre qualcuno gridare più forte dell’altro mentre qualche altro sommessamente invoca ad “abbassare i toni”. Cosa che nessuno fa. A destra e a sinistra. È evidente che con queste premesse l’idea di mobilitare un intero Paese per impedire l’insorgere di un nuovo pericolo legato al fascismo risultasse semplicemente ridicolo.

Gianni Scarpa, il gestore della spiaggia Playa Punta Canna

Gianni Scarpa, il gestore della spiaggia Playa Punta Canna

La faccenda va avanti dall’estate scorsa, da quando in un lido di Chioggia, furono visti quattro poster nostalgici di Mussolini appesi alle pareti di uno stabilimento balneare. È da allora che è montata la psicosi (creata ad arte) del ritorno del fascismo. Chissà forse friggevano il pesce nell’olio di ricino. C’è addirittura chi crede che Hitler non sia mai morto ed abbia riparato in Argentina. Mentre oggi nel cinema c’è un film divertente che fantastica su di un fantomatico ritorno proprio di lui, del Duce, col risultato che c’è chi si spaventa e ci crede sul serio. Quanta malafede e quanta ipocrisia c’era nei marciatori della pace, che tanto pacifici non lo erano affatto se portavano quei simboli e quegli stendardi di quel partito comunista che qualche errore lo ha commesso nella sua storia col milione di morti che si porta sul groppone, se a Piacenza hanno accerchiato e riempito di botte un poliziotto e se a Macerata proprio nel giorno del ricordo delle foibe i sinceri “democratici” gridavano: “Come son belle le foibe da Trieste in giù”.

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Orrore e disgusto. Quanta ipocrisia abbiamo dovuto ascoltare in questi giorni mentre tutti i media esaltavano acriticamente la grande manifestazione antifascista senza che nessuno eccepisse ricordando semplicemente contro quale fantasma o contro quale costruzione improbabile manifestassero. Nessuno che abbia messo in guardia gli italiani dalle favole della propaganda ad uso e consumo delle masse inesperte.

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Piacenza, picchiatori antifascisti “massacrano” un carabiniere

Quanta faziosità e quanto pressappochismo nelle cronache che abbiamo ascoltato senza che nessun analista politico serio, di quelli che gira da un talk-show all’altro, abbia raccontato la verità di una marcia caratterizzata dalla partigianeria ideologica e nella quale sbandierando senza un briciolo di vergogna le tragiche bandiere rosse del comunismo proprio nel giorno del ricordo delle foibe alla fine la si è voluta volontariamente trasformare nel giorno del livore. “Maresciallo siamo con te. Meno male che Tito c’è” si poteva leggere su di uno striscione a Modena. È mancato solo che sputassero di nuovo sugli esuli istriani come fecero nel ’47. Altro che marcia della pace. È stata la marcia dell’odio e dell’ipocrisia di forze politiche imbroglione che vogliono giocare sulle paure degli italiani.

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