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Il teorema Calogero

di Paolo Guzzanti 

Benché abbiamo passato anni insieme in Parlamento, quando leggo il suo nome penso sempre a quel giorno lontano in cui uscii dal suo ufficio di ministro in via Veneto, dove ero andato a intervistarlo per la prima volta con il proposito di metterlo in difficoltà perché era già sotto i riflettori. Alla fine, mise in difficoltà me perché ebbi la percezione diretta, umana, del fatto che avevo di fronte un galantuomo e so bene che questa non è una prova. Il mestiere di giornalista è (o almeno era) uno di quelli che possono mettere in crisi la tua buona fede, la tua coscienza, la lealtà. Calogero Mannino ha sempre avuto quel portamento di siciliano triste ma combattivo, forte eppure rassegnato a essere periodicamente portato in cortile, legato a un palo per veder schierarsi un plotone d’esecuzione.

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Ricordo che quella prima volta tornai alla mia macchina parcheggiata in qualche divieto di sosta dietro una contravvenzione e mi dissi: ma questo è un uomo innocente.

Lo dissi – ed era una valutazione interna umana e anche psicologica – anche davanti a Contrada. E al prefetto Mori. Tutte persone caricate di colpe terribili e disonorevoli con toni derisori e sprezzanti. Mannino è stato proclamato ancora una volta innocente e non so quante volte è già successo, del funesto carico di accuse comprese in un teorema ideologico e opaco: quello di una pretesa trattativa Stato-mafia.

Paolo Guzzanti

Paolo Guzzanti

Il lettore mi perdonerà se ancora una volta esprimerò una considerazione “opinionated”, come dicono gli inglesi: cioè schierata, perché sono sicuro che sia schierata dalla la parte giusta. Lo hanno accusato – pensate se fosse capitato a voi – di essersi rivolto allo Stato per essere protetto temendo di essere sulla lista nera di Cosa Nostra per essere assassinato.

Bruno Contrada

Bruno Contrada

Non basta: il capo d’accusa, per funzionare, come la degradazione impartita a Dreyfuss che fu spogliato di tutti i suoi gradi e segni dell’onore davanti alla truppa, è stato rafforzato con l’aggravante di essere sulla lista nera della mafia per aver fatto uno sgarro alla mafia stessa e cioè per non aver mantenuto promesse criminali, lui che rappresentava lo Stato sia come membro del Parlamento repubblicano che come ministro e sottosegretario di Stato.

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Mario Mori

La sentenza del 14 gennaio scorso afferma «l’assoluta estraneità dell’imputato a tutte le condotte materiali contestategli» e che «se davvero l’imputato fosse stato così vicino a Cosa Nostra da essere un suo stabile interlocutore politico, non avrebbe di certo avuto bisogno, per proporle un patto per sé ‘salvifico’, né dei militari del Ros né del suo acerrimo nemico politico, Vito Ciancimino, ben potendo presentarsi egli stesso ai vertici del sodalizio come prestigioso mediatore (all’epoca era ancora Ministro) per sé stesso e per lo Stato italiano».

Ricordo bene la scena in Parlamento: Calogero Mannino era lì, sui banchi e a ogni sua assoluzione celebrata con un applauso, rispondeva con estremo pudore. È un uomo certamente molto ferito ma anche molto forte, uno di quei caratteri siciliani fatti di understatement, toni bassi e nessuna concessione scenica.

STRAGI DI MAFIA

Totò Riina

La mia opinione, è che la trattativa Stato-mafia sia un’invenzione e credo anche di intuire a che cosa fosse funzionale.

Quindi, tanto vale che lo dica ancora una volta. Il teorema della “trattativa” è servito per dare una sistemata sotto un manto di apparente decenza a un fatto che tanto decente non è. E cioè che tutto quanto è accaduto da Capaci e via D’Amelio in poi, fino alle bombe di Roma e Firenze e tutta quella parata di violenze totalmente estranee alla storia degli usi e costumi della mafia, sia stato fatto passare per una guerra alla pari fra Stato e Mafia, un po’ come se fosse stata la guerra tra Stato e Brigate Rosse.

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Dopo quei fatti, scoppiò la Grande Bonaccia di Cosa Nostra che era di colpo diventata muta e inerte. Mai più un morto ammazzato, una bomba, un attentato, se non per faccende minori. Conclusione? Lo Stato aveva fatto un patto col diavolo mafioso. A che prezzo? E qui cascano tutti gli asini: tutti i Totò Riina e compagnia sono morti in galera e Cosa Nostra sul piano internazionale non vale una cicca rispetto alla ‘ndrangheta calabrese, forte in tutti i continenti.

Quale grossa merda nasconde questa storia? Abbiamo una opinione già espressa tante volte e confermata anche dall’ex procuratore generale della Federazione russa Valentin Stepankov, secondo cui l’omicidio di Giovanni Falcone – e di conseguenza quello di Paolo Borsellino – non furono affatto due mostruosi capolavori autoctoni di Cosa Nostra, ma una multiproprietà nata dall’idea di Cossiga, appoggiata allora da Andreotti, di incaricare Falcone, privo dei poteri di procuratore in quanto direttore delle carceri a Roma, di aiutare i procuratori russi a bloccare il riciclaggio del tesoro del Pcus in Sicilia.

Borsellino e Falcone

Paolo Borsellino e Giovanni Falcone

L’unica cosa che si sa di questa storia è che, benché siano ancora vivi sia Stepankov che l’ex ambasciatore russo Anatoly Adamishin che chiese aiuto a Cossiga e ad Andreotti, non risulta che alcuna procura italiana che si sia occupata della faccenda abbia aperto un fascicolo e avviato indagini.

Non si sposano delle teorie a freddo e infatti non sposo alcuna teoria: sto a quello che mi dissero Cossiga e Andreotti e che ho scritto molte volte.

Andreotti e Cossiga

Giulio Andreotti e Francesco Cossiga

Il punto è: bisognava sostenere una tesi. Che l’assordante silenzio di Cosa Nostra, di fatto annichilita, fosse dovuto a una trattativa.

E che se la trattativa ha avuto successo, come dimostra il crollo verticale dei grandi crimini e delle stragi, ciò significa che un prezzo è stato pagato, che qualcuno ha trattato, che l’onore della Repubblica è stato venduto e che dunque alcuni uomini che rappresentano lo Stato, sono colpevoli di intelligenza col nemico. Calogero Mannino è stato prescelto come una delle vittime sacrificali: è siciliano, era democristiano e inoltre è stato un vero nemico della mafia, tanto da diventare un bersaglio dei mafiosi.

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Valentin Stepankov

Queste minacce, come è stato scritto nella sentenza, sono “pacifiche e pubbliche”, sicché avrebbero dovuto illuminare Calogero Mannino come una vittima della violenza mafiosa. Ma, ecco qui il magnifico gioco di prestigio dei “trattativisti”: se tu sei minacciato dalla mafia e chiedi allo Stato di proteggerti, vuol dire che hai fatto arrabbiare la mafia con uno sgarro. Se sei una vittima, sei un carnefice. Non puoi sfuggire al teorema. Ci serve qualcuno da accusare di aver trattato, tu dovevi morire ma non sei morto, dunque hai trattato. È infernale, ma è vero.

È un teorema ed è anche un martirio applicato a una persona. In tutto questo porcaio fu coinvolto anche l’ex presidente della Camera Luciano Violante, uno storico ex Procuratore della Repubblica, che non dette alcuna importanza a un libro scritto da Vito Ciancimino sull’omicidio di Salvo Lima, e che nel 2015 testimoniò su quel che gli aveva detto l’allora ufficiale del Ros Mario Mori a proposito di queste famose rivelazioni che aveva trovato inconsistenti.

 L'omicidio di Salvo Lima

L’omicidio di Salvo Lima

Mi fu detto che Ciancimino rinunciava al colloquio diretto con me. Aspettai che arrivasse una cosa formale, la lettera di Ciancimino, e poi informai la Commissione (antimafia). Nel terzo incontro invece mi chiese del libro e dissi che lo ritenevo inutile. Non si parlò di nulla di rilevante e non si insistette per il colloquio riservato anche se si disse che si era persa una occasione». È tutto nelle motivazioni della sentenza di assoluzione di Calogero Mannino e che illustrano l’inconsistenza di un mare di chiacchiere che fanno da sfondo a questo paesaggio spettrale e surreale su cui si sarebbe mossa la trattativa.

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Calogero Mannino

Questo non è un articolo sulla mafia e l’antimafia, ma soltanto un ricordo personale di un uomo che va considerato un sopravvissuto. È un uomo che è stato tenacemente e crudelmente accusato di delitti infami e che è stato sempre assolto con formula piena.

E questo perché il teorema è soltanto un teorema e non è una rappresentazione della realtà. Anzi, per quel che ci sembra di capire, tutta l’architettura che è stata smontata dalla sentenza che ha assolto Mannino mostra la sua natura teatrale, un prefabbricato in cui si è abusivamente insediato l’immaginario collettivo di una vicenda di cui non mancano soltanto le prove, ma la logica: chi, quando, come e perché. E, più che altro, che cosa.

Anatolj Adamishin

Anatolj Adamishin

Noi ci permettiamo di aggiungere, in appendice a questo articolo un breve ricordo. Quando lo storico ed ex deputato Giancarlo Lehner annunciò in una intervista di voler scrivere un libro sulla vera storia della morte di Giovanni Falcone connessa con il suo incarico informale sull’oro di Mosca riciclato in Italia per cui l’ambasciatore Adamishin era andato a protestare da Cossiga (che lo ha scritto anche nelle sue memorie) Giulio Andreotti lo invitò nel suo studio e gli propose di fargli ottenere i segretissimi documenti con cui lui, in qualità di presidente del Consiglio, aveva fornito a Falcone le credenziali necessarie per la sua indagine con i magistrati russi.

Lehner ricevette poi una seconda comunicazione da Andreotti il quale gli disse: «Fossi in lei, rinuncerei al suo libro su Falcone. Alla Farnesina, dove non si perde neanche una cartolina illustrata, mi dicono che i documenti che ho chiesto su Falcone non si trovano. Questo vuol dire che è meglio lasciar perdere».

Che cosa Mafia__max_60537900c’entra con l’assoluzione e la persecuzione di Mannino? Mi sembra – e ne sono profondamente convinto per quel che mi disse il presidente della Repubblica – che nessuno si sia dedicato al movente di quella strage concepita come un’azione militare da commandos. Suprema vendetta a posteriori contro il grande nemico del maxiprocesso? Suvvia: la mafia non dà mai premi Oscar alla carriera. Uccide sempre e soltanto per motivi gravi e immediati. Valentin Stepankov, saputo che cosa fosse successo a Falcone si dimise dalla carica di procuratore generale della Federazione russa e scrive libri. Anche utili.

E sulla strage di via D’Amelio sembra che siamo eternamente in presenza di un gioco di depistaggi. E le stranissime vicende in trasferta a Roma e Firenze?  E si indaga sul perché Cosa Nostra sia morta all’ergastolo senza fiatare? E come mai un fior di galantuomo come Calogero Mannino, ma anche Mario Mori e altri, sia stato sottoposto alle forche caudine della pretesa trattativa per essere finalmente riconosciuto totalmente innocente? Possibile che a nessuno suoni in testa qualche campanello?

(Riformista)

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