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Giacumbi, un eroe dimenticato
Il magistrato senza scorta

di Franco Meda

Il 16 marzo del 1980 il procuratore di Salerno Nicola Giacumbi venne assassinato dai terroristi mentre rientrava a casa assieme alla moglie. 

Sessantuno passi. Erano quelli che separavano la casa di Nicola Giacumbi, procuratore della Repubblica facente funzioni a Salerno dal palazzo di Giustizia di corso Garibaldi. Erano gli anni di piombo, eppure quel breve tragitto Giacumbi lo percorreva sempre da solo, camminava fra la gente, liberamente, serenamente. Non aveva alcuna scorta. Anzi, l’aveva rifiutata. Non voleva mettere a rischio la vita di altri uomini, erano passati soltanto due anni da via Fani, ancora vivo era lo struggente ricordo dello sterminio degli uomini di scorta nel corso del sequestro Moro.

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Nicola Giacumbi

Giacumbi sapeva di essere un bersaglio mobile. Aveva da poco tempo finito di lavorare ad un dossier sulle Brigate Rosse, in merito all’incendio della Fiat (filiale locale) nella cui sede furono fatte esplodere con cariche di tritolo numerose autovetture. Sapeva benissimo, lui come tutto il Palazzo di giustizia, che a Salerno doveva succedere qualcosa, e che sul territorio c’era un’agguerrita cellula delle brigate rosse. Ma tutto questo non gli fece mai cambiare idea. “Qualche giorno prima dell’agguato, stavamo facendo colazione – ricordò in un’intervista la moglie Lilly Di Renna – mio marito assunse un atteggiamento pensoso e mi disse: non penso tanto a quel che può accadere a me, ma sono preoccupato per te e per Giuseppe, nostro figlio”.

Nel calendario macchiato di sangue il 23 maggio della Campania è datato 16 marzo 1980, una domenica. Come Giovanni Falcone, anche Nicola Giacumbi era in compagnia della moglie. Ma questa volta non occorsero cinque quintali di tritolo azionati da lontano con un detonatore come avvenne a Capaci, non servì un piano organizzato nei minimi dettagli.

L’uccisione del procuratore di Salerno, fu facile facile, un gioco da ragazzi (armati). Erano le otto di sera Nicola Giacumbi stava rientrando a casa con la moglie dopo essere andato a vedere al Capitol “Kramer contro Kramer”. Fu barbaramente assassinato nel centralissimo corso Garibaldi con quattordici colpi sparati alle spalle col silenziatore da un commando formato da otto terroristi. Un proiettile sfiorò alla nuca la moglie, salva per miracolo.

Un’azione da guerra, firmata dalle Brigate Rosse, colonna ”Fabrizio Pelli” (Pelli era un giovane terrorista di Reggio Emilia morto l’anno prima in carcere per leucemia, e giovani sono i sicari che hanno fatto di lui una bandiera: esponenti del ’77, operai transitati per l’autonomia, la figlia di un noto oculista, il figlio di un consigliere comunale socialista). Perché venne ucciso?  Per vendicare la morte del militante di sinistra romano Valerio Verbano, avvenuta nel quartiere Monte Sacro il 22 febbraio 1980. E che c’entrava Giacumbi? “Era un fascista”…

Pioveva lievemente quella maledetta sera. Quelle piogge di marzo improvvise, inaspettate. Il traffico scorreva lento, indifferente. Nessuno fece caso a quel corpo a terra sullo sfondo del Palazzo di Giustizia. L’assassinio fu rivendicato con un volantino, lasciato nel bar “Natella & Beatrice” sul lungomare di Salerno. “Abbiamo ucciso il boia fascista Giacumbi”. Il suo assassinio aveva un duplice obiettivo: accreditare l’ipotesi della creazione di un blocco di violenza terroristica che univa il Nord al Sud e aprire una campagna di attentati contro i rappresentanti dello Stato.

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Il corpo di Bachelet alla Sapienza

Era un’Italia impazzita. Un mese prima, all’università La Sapienza di Roma, davanti agli occhi della giovane assistente Rosy Bindi, la brigatista Maria Laura Braghetti  aveva ammazzato il professor Vittorio Bachelet, 54 anni, giurista cattolico e soprattutto vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. Due giorni dopo l’esecuzione di Giacumbi a Roma venne ucciso un altro magistrato Girolamo Minervini ed il giorno successivo fu la volta di Guido Galli, altro magistrato e docente di criminologia. La risposta delle forze dell’ordine avvenne il 28 marzo a Genova con l’irruzione nel covo di via Fracchia ad opera dei carabinieri del Generale Dalla Chiesa e la conseguente uccisione, nel conflitto a fuoco, di quattro terroristi.

All’uccisione di Giacumbi ha dedicato un capitolo del suo libro “Sasso e coltello” l’ex ministro per le aree urbane Carmelo Conte. “Una sera, a Salerno mi accorgo che su dei manifesti con il mio nome era incollato in sovrapposizione un volantino delle Brigate Rosse. Mi preoccupo, denuncio l’accaduto alla polizia. Dopo un po’ di tempo mi avvicina, un capitano dei carabinieri in borghese. Si qualifica e mostra di conoscere il mio caso, nei particolari. Mi confida che tra i mandanti dell’omicidio Giacumbi potrebbero esserci anche persone insospettabili. Del progetto di assassinarlo, comunque, sono a conoscenza sin dall’inizio, non solo i componenti operativi della colonna Fabrizio Pelli, ma anche altri, dentro e fuori delle istituzioni …“

Dalle cronache del tempo si legge che al Palazzo di Giustizia tutti sapevano che avrebbero mirato a Giacumbi. “Al massimo pensavamo che lo colpissero alle gambe…”.

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 .

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