L’eutanasia del Sud  
  L’agonia del Mezzogiorno senza lavoro, senza nascite, senza futuro 
 
di Eduardo Palumbo

L’eutanasia del Sud

di Eduardo Palumbo

“L’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà”. La previsione, forse la profezia, venne fissata Giuseppe Mazzini. E c’è poco da stare allegri 

L’eterna questione meridionale, si ripropone con il consueto annuale rapporto Svimez, l’esplosione del palese divario strutturale fra le due Italie si ripropone marcatamente ancora una volta, solo che tutto questo avviene in un contesto generale sempre più grave, sempre più in crisi. E tutto il Paese che arretra che arranca, che soffre. Il Sud da sempre cresce meno del Nord. Solo che ora si capovolge il concetto di base, non parliamo più di crescita, ma di decrescita, ed anche in questo caso il fenomeno nel Mezzogiorno  a rischio desertificazione umana e industriale si presenta in modo molto più acuto.

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Il dramma lavoro

E così il Sud continua ad essere terra di emigrazione, negli ultimi venti anni, sono quasi 2 milioni e mezzo quelli che sono andati via (116 mila abitanti nel solo 2013), continua a non fare figli (anche nel 2013 ci sono stati più morti che nati) e continua drammaticamente a impoverirsi (le famiglie povere sono aumentate del 40 per cento nell’ultimo anno)  e a non avere lavoro (persi l’8  per cento dei posti di lavoro nazionali tra il primo trimestre del 2013 e del 2014). Questo il quadro impietoso dell’economia del Mezzogiorno con l’industria in ginocchio (-53 per cento gli investimenti in cinque anni di crisi, -20 per cento gli addetti), i consumi delle famiglie precipitatati quasi del  13 per cento in cinque anni, gli occupati a 5,8 milioni, il valore più basso dal 1977.

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Le famiglie povere aumentate del 40 per cento

Le cifre di un fallimento annunciato. Nel 2013 il numero degli occupati nel Mezzogiorno è sceso per la prima volta nella storia sotto la soglia dei 6 milioni (-282mila posti a 5,8 milioni), il livello più basso dal 1977 anno da cui sono disponibili le serie storiche di dati.  In questi anni di grande crisi, tra il 2008 e il 2013, delle 985mila persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro, oltre la metà (583mila) sono residenti nel Mezzogiorno. L’ennesima testimonianza, qualora ce ne fosse bisogno, che la crisi ha colpito in termini occupazionali soprattutto le regioni meridionali dove pur essendo presente appena il 26 per cento degli occupati italiani si concentra il 60 per cento delle perdite determinate dalla crisi. Un tiro al bersaglio.

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Cresce ulteriormente il disagio giovanile

 Il trend non migliora anche nel 2014. Nel secondo trimestre alla ripresa registrata al Centro-Nord (+76mila occupati) si contrappone un nuovo pesante passivo al Sud (-90mila occupati). L’effetto è che si allarga il divario della disoccupazione nel Paese. Considerando anche i disoccupati “impliciti”, ovvero coloro che non hanno effettuato azioni di ricerca nei sei mesi precedenti l’indagine, il tasso di disoccupazione effettivo nel Centro-Nord sfonderebbe la soglia del 13 per cento (ufficiale 9,1 per cento) mentre al Sud si passerebbe dal 19,7 per cento al 31,5 per cento.

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Decessi superiori alle nascite

 Come se non bastasse, il quadro generale è reso ancora più drammatico dal fatto che nel 2013 al Sud i decessi hanno superato le nascite. Un fenomeno così grave si era verificato solo nel 1867 e nel 1918 cioè alla fine di due guerre, la terza guerra d’Indipendenza e la prima Guerra Mondiale. Ma siamo in guerra anche in questi giorni solo che facciamo finta di non saperlo. O di non volerlo ammettere. E non è ancora tutto. Secondo il rapporto Svimez, il Sud sarà interessato nei prossimi anni “da uno stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili”. Secondo le stime dell’Istituto nei prossimi 50 anni il Mezzogiorno è destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti.

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