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L’americano che vo fa’ ’o napulitano

Napoli vista da un borghese bianco americano. La Napoli dei vicoli e dei bassifondi della canzone, quella delle feste di pazza, dei matrimoni, delle canzone sui camorristi e dei camorristi. Un filone musicale chiamato neomelodici. Jason Pine è un antropologo che insegna al Purchase College della State University di New York. Ha vissuto tredici lunghi anni a Napoli, facendo videoclip per i neomelodici. Ed ha raccontato tutto in un libro.Perché riproporre vecchi articoli, reportage, interviste? Volando alto con Giorgio Manganelli, scrittore, giornalista potremmo dire che “una civiltà letteraria non è fatta di letture, è fatta di riletture”. Più semplicemente il ripresentare alcuni articoli rappresenta una grande opportunità. Un modo per scoprire giornalisti o protagonisti di un’altra generazione, di conoscere o ricordare fatti, dimenticati. Per riproporre interviste e reportage dei giorni nostri.

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“A Napoli ci sono più cantanti che disoccupati” ripete la vox populi . Buon per me, ha pensato Jason Pine, che dal 1998 al 2011 s’è immerso curioso, stregato, nel mondo dei cantanti neomelodici e ha pure abbassato il numero dei disoccupati diventando regista di videoclip. Pine è un antropologo che insegna al Purchase College della State University di New York.

Un “borghese bianco americano” che non è piombato a piazza Mercato per un bagno di folklore sulle voci più amate dal popolo. Nel suo libro Napoli sotto traccia. Musica neomelodica e marginalità sociale (Donzelli) lo studioso evita ogni moralismo e con disciplina si fionda su una sociologia pratica del fenomeno, da vivisettore di cause ed effetti.

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Jason Pine

Tredici anni sono un’eternità, perciò il suo è innanzitutto un reportage sociale e simbiotico su quell’universo parallelo al mainstream musicale. L’autore inizia a seguire la carriera di un baby cantante. Va a casa sua, conosce i genitori-manager e soprattutto lavora da videomaker per loro, e per altri artisti pop. Diviene in pratica un minuscolo ma effettivo ingranaggio del settore. Racconta così delle tv clandestine: “Entrai in un appartamento dove c’erano persone che stavano cenando, ciascuno aveva nel piatto una grossa polpetta affogata nel sugo. In fondo al corridoio due uomini manovravano una videocamera e un mixer… lì si svolgeva la trasmissione”.

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Il focus più in generale si concentra sull’arte di arrangiarsi dei protagonisti del sottobosco musicale. Lui la chiama the art of making do in Naples . La bussola è un po’ Pino Aiello, che anni fa scrisse della “comprensibile esistenza di una musica inaccettabile”. L’indagine del prof newyorchese sotto il Vesuvio è fatta sul campo come non mai. Dagli studi di registrazione di Ponticelli e Secondigliano ai matrimoni. Jason vuol comprendere, appunto, i diversi piani di esistenza dell’abbondante sottoproletariato urbano partenopeo e la sua urgenza di possedere un filone canoro proprio attraverso un business ad hoc (“dove ci sono i soldi c’è la camorra”, annota più volte).

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Che poi sia musica inaccettabile questo è tanto scontato in un’ottica di classe quanto falso. Patrizio, Nino D’Angelo, Franco Ricciardi spuntano dalle ceneri del fu Festival di Napoli, finito nel 1970, con Sergio Bruni che stappava champagne. Il libro bilancia l’esperienza relazionale con i protagonisti della scena neomelodica e di apprendimento faticoso del dialetto — “il melodramma del contatto” — con brani sulla storia della criminalità organizzata e della città.

Chi s’è distratto e non conosce la Napoli neomelodica può sfogliare Pine, non senza un certo impegno (il piglio di tanti passaggi è scientifico e il vocabolario sociologico), per farsi un’idea di questo spicchio di meridionalissimo e litigioso underground. Underground inteso anche come sommerso, visto che tanti dischi sono ignoti alla Siae. Quasi un do it yourself di matrice punk, però latino e più sfrontato.  Attorno pulsa il giro d’affari, macchina fortemente indeterminata, intuisce l’antropologo, giacché il modus operandi del Sistema tra concerti e hit non sai dove inizia, se inizia, se è un bluff, se ci rientri in pieno.

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Questo contesto, inedito nel resto d’Europa, è popolato da organizzatori d’eventi borderline e boss-impresari che spingono e impongono i cantanti, osannati da migliaia di fan di tutte le età: basta dare un’occhiata alle visualizzazioni in Rete dei videoclip. Ambiente in chiaroscuro: plasticamente si può rappresentare l’ambiguità del factotum col volto da Sfinge di Ciccio Mira, fautore delle feste di piazza al quartiere Brancaccio di Palermo, apparso nel film Belluscone di Franco Maresco (in Sicilia amano alla follia i neomelodici).

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La differenza tra questo e altri lavori sul fenomeno sta nell’annullamento quasi totale del distacco. Pine non si limita ad osservare il guscio o ad inseguire la road map di ricevimenti kitsch. Diventa parte del circuito, ne tange umori e ambiguità, conosce di persona un boss. Proviamo a ripescare articoli, libri o documentari sui neomelodici di alcuni anni fa: ci troveremo, è molto probabile, un passaggio su di lui, Jason, il regista dei videoclip Siente a mè e Palcuscenico , l’americano che vo fa’ ’o napulitano e segue i cantanti.

 (Alessandro Chetta,  “Corriere della Sera”)

 

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