di Paolo Isotta
La storia dei Girolamini è un emblema della nostra vergogna nazionale. Il governo Berlusconi fece nominarne direttore un ladro il quale, in combutta con un prete altrettanto ladro, se la stava vendendo a poco a poco
Il mio amico Guido Donatone, presidente napoletano di “Italia nostra” e acerrimo combattente a difesa della bellezza e della legalità, fine narratore nonché impareggiabile scrittore sulla storia della ceramica, organizza sovente visite a luoghi difficili da contemplare.
Tempo fa ci condusse a Villa Oro, un capolavoro dell’architettura razionalista (1934-37) su di un costone di tufo nella parte bassa della collina di Posillipo dovuto a Luigi Cosenza (1905-1984): “in rete” è possibile contemplarla e invito chi legge a farlo perché comprenda quanto anche nell’architettura Napoli fosse all’avanguardia in quel periodo: Villa Oro venne costruita da un antifascista per un antifascista ma la Posta Centrale, edificata dal regime, è il più bell’edificio razionalista d’Europa.
Qualche giorno fa una visita addirittura eccezionale. Donatone ha ottenuto dal pubblico ministero che la custodisce l’accesso alla biblioteca filippina, conosciuta siccome “I Girolamini”, la quale si trova in istato di sequestro giudiziale per note vicende ed è attualmente inaccessibile. (In via incidentale: a Napoli la metà dei monumenti è inaccessibile o per motivi giudiziali o perché è in restauro o perché dovrà un giorno essere restaurata: onde la stessa chiesa dei Girolamini, una delle basiliche barocche più belle del mondo, è chiusa per una vecchia caduta di calcinacci.)
“In rete” possono vedersene le immagini; ma non valgono il senso di vertigine che si prova quando ci si trova all’interno, in particolare nella sala grande, oggi intitolata a Giovan Battista Vico. E’ una delle più belle biblioteche del mondo, la più antica di Napoli e seconda solo alla meravigliosa Malatestiana di Cesena in ordine di tempo quale biblioteca pubblica italiana. Venne infatti aperta nel 1586 e retta dall’ordine filippino, il quale sempre si segnalò per apertura mentale e amore per la cultura.
Non solo le origini di uno delle più illustri generi musicali dal Barocco trascorso al Classico e al Novecento, l’Oratorio, si debbono ai Filippini: la biblioteca napoletana contiene tranquillamente opere all’indice e una grande collezione di filosofi e scienziati francesi (fra i quali Cartesio) secenteschi e settecenteschi.
Naturalmente ne fanno parte testi classici greco-latini ed ebrei, di teologia, di storia sacra; ma anche di giure e di storia. Mi piace porla accanto al prodigio costituito da uno dei miei idoli, uno dei più grandi uomini di cultura settecenteschi, il cardinale Pietro Ottoboni (1667-1740), il più grande mecenate musicale del secolo, protettore di Corelli, Pasquini, Caldara, del giovane Händel e soprattutto di Alessandro Scarlatti, che giustamente nell’epigrafe dettata per il sepolcro napoletano definisce musices instaurator maximus, il sommo instauratore della musica. Il Fondo Ottoboniano costituisce un nucleo basilare nientemeno che della Biblioteca Apostolica.
Il capolavoro dell’ebanisteria napoletana settecentesca e dell’arte della riggiola (vulgo mattonella) di ceramica della sala Vico fa respirare l’atmosfera della grande storia e produce un senso di venerazione verso chi costituì il monumento, verso il grande erudito Giuseppe Valletta (1636-1714), i diciottomila volumi raccolti dal quale sono il principale nucleo della biblioteca, e naturalmente verso Vico, al cui impulso si deve se i Filippini acquistarono i volumi.
Il ricchissimo archivio musicale contiene gemme preziose ed è per me una personale vertigine giacché sedicenne, alle costole di un dotto musicologo, vi feci il mio primo tirocinio maneggiando manoscritti della Scuola Napoletana.
Ma la storia dei Girolamini è un emblema della nostra vergogna nazionale. Il governo Berlusconi fece nominarne direttore un ladro il quale, in combutta con un prete altrettanto ladro, se la stava vendendo a poco a poco. San Gennaro ha fatto il miracolo di fermare la spoliazione; oggi i Girolamini mi paiono in mani competenti e attendo il nuovo miracolo: che un monumento simile possa esser di nuovo osteso a chi ne è degno.
(Paolo Isotta, il Fatto Quotidiano)