Scandalosa Rai. Renzi, di tutto di più      
   
L’epurazione di Berlinguer e Masi, i telegiornali tutti schierati per il SI al referendum   
     
    
 di  Corrado Ocone

Scandalosa Rai. Renzi, di tutto di più

di Corrado Ocone

Nel nome del SI. Nel nome di Renzi. In pieno agosto, il mese dei golpe, il direttore generale della Rai Antonio Campo Dall’Orto ha comunicato al Cda di viale Mazzini i direttori delle testate giornalistiche. Ghigliottina per Bianca Berlinguer e Marcello Masi, al loro posto Luca Mazza e Ida Colucci. Andrea Montanari prenderà il posto di Flavio Mucciante alla direzione dei giornali radio, Nicolettà Manzione va a dirigere la redazione Rai Parlamento sostituendo Gianni Sciopione Rossi. Confermati invece i direttori del Tg1 Mario Orfeo e dei Tg Regionali Vincenzo Morgante. E  l’atteso piano editoriale? Particolare insignificante. Il servizio pubblico ha pensato solo ad attrezzarsi per il SI al referendum costituzionale. Alla faccia del pluralismo...

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Non è affatto uno scandalo che lo stipendio del direttore generale di una grande azienda sia di 650.000 euro lordi l’anno. È uno scandalo che tale sia lo stipendio del direttore generale della Rai, di questa Rai. E mi spiego. Viviamo per fortuna in un sistema capitalistico, di libero mercato, e un manager bravo, che mette la sua competenza al servizio di un’azienda fruttando valore, ha tutto il diritto di farsi pagare quanto più è possibile.

Il pauperismo, che sia frutto di una libera scelta o che sia indotto dalle condizioni generali di una società, non è mai un bene: né per l’individuo costretto a sacrificarsi e a non veder ripagata la sua ambizione e competenza, né per la società stessa che perde rapidamente quelle forze vitali che diffondono la ricchezza in tutto il suo tessuto e che quindi creano i presupposti per migliorare la condizione anche dei molti.

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Corrado Ocone

Per una sorta di eterogenesi dei fini, l’imporsi dei vincoli “morali” all’arricchimento lecito finisce per essere immorale perché danneggia non solo il mancato ricco ma indirettamente anche i poveri. Nel caso della Rai non ci troviamo però di fronte a questa sana dinamica o dialettica del capitalismo. La Rai non è infatti sul mercato, né a memoria d’uomo si ricordano manager scelti o confermati per la loro capacità di creare valore. La Rai vive soprattutto grazie alle risorse dello Stato, quindi con i contributi, diretti e indiretti, di tutti i cittadini. Laddove quelli diretti sono fra l’altro “estorti” tramite quel sistema di dubbia legittimità che è il “canone in bolletta“.

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Che tutto questo sia giustificato con un riferimento ad un concetto che non ha oggi più praticamente senso quale il cosiddetto “servizio pubblico”, non è che una beffa che si aggiunge al danno. Più che di un “servizio pubblico“, per la Rai si tratta di un servizio che quotidianamente viene reso ai partiti e ai politici che in un dato momento hanno potere.

Detto in modo forse brutale ma veritiero, un dirigente Rai prende il suo stipendio non per creare valore economico, o per garantire un pubblico servizio, ma per soddisfare le richieste del politico a cui fa riferimento e che lo ha piazzato a quel posto. Un posto che perderà non quando caleranno gli indici di ascolto o la qualità del prodotto confezionato, ma quando cambieranno i rapporti di forza politici e quel ruolo toccherà ai nuovi potenti.

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In tutta questa situazione, uno stipendio alto è qualcosa che, se non è un latrocinio legalizzato, molto gli assomiglia. Il paradosso dei paradossi è che tutto questo avviene sotto il governo di un politico che non solo ha creato la sua fortuna sul concetto di “rottamazione“, ma che, nello specifico, aveva promesso per la Rai, nel cosiddetto “programma della Leopolda”, una sostanziale privatizzazione. Cioè, in definitiva, l’unica ricetta oggi concepibile e appropriata. Un così clamoroso voltafaccia spiega, secondo me, fra l’altro, ovviamente insieme ad altri elementi, perché la luna di miele fra Renzi e gli italiani sia ormai finita.

 

 

Nel nome del SI. Nel nome di Renzi. In pieno agosto, il mese dei golpe, il direttore generale della Rai Antonio Campo Dall’Orto ha comunicato al Cda di viale Mazzini i direttori delle testate giornalistiche. Ghigliottina per Bianca Berlinguer e Marcello Masi, al loro posto Luca Mazza e Ida Colucci. Andrea Montanari prenderà il posto di Flavio Mucciante alla direzione dei giornali radio, Nicolettà Manzione va a dirigere la redazione Rai Parlamento sostituendo Gianni Sciopione Rossi. Confermati invece i direttori del Tg1 Mario Orfeo e dei Tg Regionali Vincenzo Morgante. E  l’atteso piano editoriale? Particolare insignificante. Il servizio pubblico ha pensato solo ad attrezzarsi per il SI al referendum costituzionale. Alla faccia del pluralismo

 

 

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