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Il bluff Renzi

di Piero Ostellino

 La “puntata” con cui Matteo Renzi ha sperato di fare saltare il banco della politica italiana, arrivando a trasformare il referendum sulla pasticciata e approssimativa riforma costituzionale in un giudizio su se stesso e il suo governo, lascia il Paese in una situazione molto difficile.

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Sono in molti a chiedersi ora, di fronte a questa débâcle, perché lo abbia fatto. Delirio di onnipotenza, megalomania e arroganza? Forse c’è anche un po’ di questo, ma la sua temeraria scommessa ha una logica chiara, anche se si basa su premesse sbagliate. In particolare su una conoscenza approssimativa della realtà del Paese. A dimostrarlo è stata la stessa altissima e non prevista affluenza alle urne.

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Piero Ostellino

Il no a una riforma che, abbinata alla nuova legge elettorale, rischiava di creare le condizioni per una svolta autoritaria, è stato netto. Così come la bocciatura del presidente del Consiglio e del suo governo, un risultato che, da un po’ di tempo a questa parte, si ripropone in Occidente ogni volta che un governante si sottopone al voto popolare. Anche questo Renzi avrebbe dovuto saperlo. Perché scegliere di rischiare in questo modo, allora? Perché tentare un “all in”, come si dice a poker quando si decide di puntare tutto. Perché una eventuale vittoria del Sì valeva la candela, mentre, tutto sommato, i rischi di una sconfitta, a giudizio di Renzi, potevano essere contenuti e gestiti a suo vantaggio. Il premier dimissionario ha iniziato subito a farlo, mostrando che chiunque dovrà fare i conti con il suo gruppo di potere. Certo, la posta grande, che avrebbe consentito di costruire un modello istituzionale disegnato sulle sue esigenze, è andata malamente perduta.

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Per cambiare realmente il Paese bisognava partire da una riforma seria della pubblica amministrazione, mettere mano a un’imponente semplificazione legislativa e intervenire sui regolamenti parlamentari per migliorare la produzione di leggi. La Costituzione va rivista, semmai, nella sua prima parte, in modo da entrare nel novero delle democrazie liberali, trasformando in una Costituzione procedurale quella che a oggi è una Costituzione programmatica, non lontana in alcuni suoi articoli da quella sovietica.

(il Giornale)

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