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Non è mai troppo tardi per cambiare la Rai

di Gerardo Verolino

E mentre vogliono far credere alla gente che, in Italia, esista un fondato pericolo, a settant’anni  dalla sua fine,  di una possibile ricostituzione di un fantomatico partito fascista perché su di una spiaggia italiana, qualche nostalgico buontempone, ha attaccato al muro due manifesti di Benito Mussolini, scatenando un dibattito che da quest’estate continua imperterrito e  chissà per quanto continuerà ancora, ecco che, sotto silenzio, ogni giorno, si manifestano piccoli “fascismi”, o abusi, o soprusi, chiamateli come volete che lo, Stato democratico ci infligge.

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Uno di questi si chiama canone di abbonamento al servizio radiotelevisivo, il famigerato canone Rai, che il governo Renzi, per contrastarne l’elevato tasso di evasione, ne  impose il pagamento sulla bolletta elettrica, durante il suo governo e che contribuì, probabilmente, a decretarne la sua (momentanea) fine politica con la sconfitta al referendum.

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Perché, il canone, è una tassa famigerata? Semplice. Perché il suo utilizzo non è a fini sociali o comunque nell’interesse della collettività. Che utilità ne ricava il cittadino, peraltro nell’infinita scelta delle televisioni satellitari, a foraggiare la Rai? Nessuna. Ma se, anziché  pagare per la messa in onda dei programmi della televisione di Stato, al cittadino, fosse stato chiesto di pagare, ad esempio, l’attività della Protezione civile, egli, pur se a malincuore, dal momento che il pagamento di una tassa non è mai un compito facile, sicuramente, l’avrebbe fatto  senza eccessivi malumori. Sapere che, i propri soldi, vengono spesi per garantire a tutti quei volontari che, quando avviene una tragedia, accorrono per  scavare sotto le macerie alla ricerca di vite umane, avrebbe messo tutti d’accordo.

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Fazio, uno strazio da sei milioni di euro

Invece, e alcuni pare lo ignorino, ci impongono di sovvenzionare la fabbrica dell’intrattenimento che per fregarci, chiamano  servizio pubblico, o, che, pomposamente, definiscono anche  come la “prima industria culturale” del Paese. Tutte chiacchiere. La televisione di Stato ha avuto un senso, quando vigeva il regime di monopolio e le trasmissioni erano in bianco e nero, e, quando, davvero svolgeva un ruolo di servizio pubblico informando, e sovente formando, i cittadini, oltre che intrattenendoli e svagandoli.

Alberto Manzi, non è mai troppo tardi

Alberto Manzi, e la sua “Non è mai troppo tardi.” Quando la televisione era davvero servizio pubblico

Ma, già, negli anni ’80, con l’avvento delle prime televisioni commerciali, che, a costo zero, offrivano, prima in maniera rudimentale poi, via via, in modo sempre più evoluto, fino all’alta tecnologia di oggi, i servizi (e gli svaghi) che la Rai offre previo il pagamento di una tassa e senza la nefasta influenza dei partiti che, oscenamente (ecco un vero fascismo)  si spartivano, e si spartiscono, la televisione dei cittadini come fosse cosa loro, essa, non aveva più ragione di esistere.

Questo è l’altro aspetto ignobile del pagamento del canone: che  arricchisce una (superflua) televisione (di tutti) per lasciarla nelle mani di politici che ne  fanno l’uso e l’abuso che vogliono.

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La Rai, che si regge sia sul canone che sugli introiti della pubblicità come qualsiasi altra  azienda sul mercato, alterandone la corretta concorrenza, dal momento che gli altri competitori non possono godere dello stesso vantaggio (un altro, tacito, abuso), è uno strumento di potere in mano alla politica che gestisce, surrettiziamente, i nostri soldi per i suoi scopi. Difatti è la più potente macchina del consenso che hanno il governo e il Parlamento  per consolidare la propria forza. In virtù della copiosa scelta che abbiamo oggi sulla piattaforma televisiva e che soddisfa ampiamente tutti nostri gusti, la Rai, appare sempre di più, come un ente inutile e fuori tempo, un carrozzone buono solo  per soddisfare le smodate voglie dei nostri politici.

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E’ il regno osceno della lottizzazione. il Moloch che ha prodotto una filiera di “mostri”, tra giornalisti primedonne (supponenti e di scarsa credibilità), presentatori tuttologi e mammasantissima, che predicano  la moralità per gli altri, e tacciono sui criteri scelti per la  loro selezione; manager che passano da un ente di Stato all’altro, producendo bilanci disastrosi e spacciandosi per grandi capitani d’industria; funzionari alle dipendenze dei partiti che ingrossano il suo famelico corpaccione.  E  che dire dell’uso distorto che essi ne fanno.

Tv: Rai3; ''#cartabianca''

Bianca Berlinguer

Vi ricordate, l’estate scorsa, quando la signora Berlinguer, pagata centinaia di migliaia di euro nostri e nominata su indicazione del Parlamento, uscì in video, sfruttando in modo improprio il mezzo televisivo, per lamentarsi (che faccia di bronzo!) del fatto che, il Tg3, dopo quattro lunghi anni di direzione, voleva (legittimamente) rimuoverla dall’incarico (mantenendo tutti gli assurdi privilegi economici)? Non c’è limite alla decenza. Sia chiaro. La signora Berlinguer è un caso emblematico.

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La lista delle facce di bronzo in Rai è lunghissima. Tutti vi  entrano  per cooptazione sfruttando antiquati privilegi da Basso Impero fermo poi lamentarsi quando gli stessi dirigenti di nomina politica che li avevano scelti vogliono spostarli d’incarico. Ecco  allora inverarsi l’esercito lagnoso delle (finte) vittime che grida alla censura. Ecco avanzare  i martiri di un oscuro potere che vorrebbe la loro testa  in quanto scomodi. Perfino un improbabile difensore della Verità assoluta qual è  il climatologo Luca Mercalli  adduceva a chissà quali complotti nei suoi confronti i motivi di un suo  banale avvicendamento nel palinsesto televisivo .Forse, il potere, temeva l’arrivo di qualche devastante uragano richiamato dal signor Mercalli.

Pippo Baudo

Pippo Baudo

Ma l’episodio più eclatante che si ricordi di un uso distorto a fini privati del servizio pubblico fu quello che coinvolse Pippo Baudo, all’apice del suo successo televisivo, quando in un delirio d’onnipotenza, durante la diretta televisiva, sfidò platealmente l’allora presidente della Rai, Enrico Manca, che aveva definito le trasmissioni baudiane gramscianamente “nazional-popolari”, replicando, piccato, che avrebbe realizzato, d’ora in poi, solo programmi “regionali e impopolari”. Per fermare, una volta per sempre, questi continui abusi basta abolire il canone e collocare la Rai sul mercato. Fine delle trasmissioni.

 

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