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La guerra del virus

di Giulio Meotti 

Avevamo ripetuto a pappagallo per due settimane che era “come un’influenza” e adesso l’Oms (le cui parole andavano prese fin da subito con un po’ di sano scetticismo) ci dice che il coronavirus ha una mortalità del 3.5 per cento (smettano di farci vedere i vecchi filmati dell’Italia degli anni Sessanta). Avevamo detto che noi italiani eravamo stati “i più bravi” a fare i tamponi e ora la Germania spiega che ne ha eseguiti undicimila e ha trovato 223 infettati (se non ci credete non dovete credere neanche ai dati ufficiali italiani).

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Avevamo detto che morivano “perlopiù vecchi e malati” e ora rimaniamo basiti di fronte alla morte di persone come il medico di 62 anni esperto di Alzheimer.

Anziché spiegare alla popolazione perché era importante cambiare abitudini, abbiamo avuto sindaci vanagloriosi che sono andati in palestra a farsi i selfie.

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Giulio Meotti

Abbiamo perso per strada molti pezzi di questo puzzle, come il famoso “paziente uno”: non ci siamo accorti che un uomo di 38 anni è da due settimane, ripeto due settimane, in terapia intensiva (ne aveva 38 anche il medico-eroe cinese morto).

Abbiamo ridacchiato, ci siamo presi gioco l’un dell’altro (quante parole spese sul “vairus” di Di Maio, ripeto Di Maio), abbiamo come sempre politicizzato tutto (quanti indignati per la frase di Zaia) ciascuno muovendosi secondo tribù, della serie “strano ma virus”.

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bbiamo fallito, questa è la verità, come classe dirigente politica, come mondo dei media (gran parte dei giornalisti batte i tacchi di fronte al governo oppure ora ci spiega, poveri stolti, che Roma è più bella senza gente in giro), come realtà scientifica (quante opinioni e confusione, pensate che il virologo oggi considerato allarmista aveva detto che l’Italia era a “rischio zero”), come organi di sicurezza.

Abbiamo sottovalutato quest’epidemia, ci siamo fidati (e ci stiamo ancora fidando) del regime cinese e non ci siamo attrezzati per tempo quando ne avevamo ancora un po’, pensando che il virus da sconfiggere fosse il razzismo, poveri cretini.

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Adesso il governo chiude le scuole in tutta Italia, l’estensione della zona rossa, si sussurra di chiudere il Parlamento (non era mai successo) e per scongiurare numeri elevati di contagio ha già smesso praticamente di contarli.

Non ci resta che sperare e pregare, che non tolgano le misure di tutela messe in atto finora ma che le rafforzino, che arrivi il caldo (pensate come siamo messi) e che per qualche strana alchimia il virus si plachi.

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Un giorno qualche bravo giornalista (straniero, non italiano) scriverà la storia di quanto è successo come uno dei più clamorosi buchi in Occidente nella protezione della popolazione e di fiducia nelle istituzioni, di fronte a un virus nato in circostanze mai chiarite, per il quale non abbiamo ancora un vaccino e contro il quale usiamo farmaci sperimentati contro Ebola e Hiv (rileggete questa frase), dalla mortalità consistente e dal contagio rapidissimo.

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E non ci siamo accorti nel frattempo né della decadenza dell’Europa (che non è servita a niente finora nella crisi italiana e ora alle prese anche con un potenziale assalto migratorio dei suoi confini sud-est) né della grande prestazione della Cina: la dittatura rossa che controlla un sesto della popolazione mondiale prima ha infettato il mondo, poi ha dichiarato guerra al virus e alla propria popolazione, stroncando il dissenso, nascondendo le prove e mettendo a rischio la risposta della comunità internazionale, e adesso mette in quarantena noi italiani.

Torna il vecchio motto della Guerra fredda: “Meglio rossi che morti”. Un consiglio a tutti: guardate un po’ meno la televisione italiana, che Franca Ciampi ebbe giustamente a definire “la deficiente”. E, come anticipato, per me meno post sull’epidemia e più Schubert.

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